Frank Miller, l'origine del suo amore per il Fumetto e gli esordi come autore
Cosa leggeva Frank Miller da ragazzino? Quando è nata la sua passione per il fumetto?
Alpinista, insegnante di Lettere, appassionato di quasi ogni forma di narrazione. Legge e mangia di tutto. Bravissimo a fare il risotto. Fa il pesto col mortaio, ora.
Quel che mi ha attratto del Fumetto è prima di tutto che è un medium a cui è semplicissimo approcciarsi. Vai a vedere un film o una serie TV e pensi: "Come si fa a realizzare roba del genere? Magia! Sono cose impossibili!" Poi guardi un fumetto e sai che qualcuno ha preso una matita e disegnato quel che vedi. Wow. Se vuoi ambientare una storia in un luogo, puoi sempre farlo, ovunque. E puoi far accadere di tutto. Devi solo disegnarlo.
Ovvio, quella era la mia visione a cinque anni. Non avevo ancora consapevolezza di quanto disegnare le cose così come sono fosse complesso. Ma da allora ho sempre disegnato e mi sono concentrato sul realizzare fumetti e storie. Quando ero molto giovane ho deciso che era ciò che avrei fatto per il resto dei miei giorni. Avevo cinque anni e annunciai a mia madre la cosa. Mi disse: "Puoi fare qualunque cosa ti passi per la mente, se ti ci metti". Poi sono andato a New York, dato che all'epoca era l'unico posto in cui si poteva lavorare nel Fumetto, perché c'erano gli editori. Mi ci sono trasferito e ho aperto l'elenco telefonico, in cerca di Neal Adams. C'era.Lo chiamai e una donna mi rispose: "Continuity Associates". Dissi che ero un giovane cartoonist che voleva disegnare e che avrei voluto incontrare Neal Adams. Lei allora disse: "Papàààà! Ce n'è un altro che ti cerca" e mi chiese se potevo essere da loro entro un'ora. Ecco che genere di posto gestiva Adams a New York. Prendeva tutti gli esordienti. Continuity Associates era un po' una casa per tutti quelli che volevano debuttare e affrontare il plotone d'esecuzione di nome Neal Adams.
Alla prima sessione con lui, lo vidi che guardava il mio lavoro e mi chiese da dove venissi. Vermont, gli risposi. Lui mi disse: "Tornaci. Non sei granché. Non sarai mai granché. Torna a casa. Fa' il benzinaio o qualcosa del genere. Fuori da qui." Io gli chiesi se potevo tornare un'altra volta e mostrargli qualcos'altro, e lui accettò. La stessa cosa si ripeté per un paio di volte e un giorno prese il telefono e, molto semplicemente, mi trovò il mio primo lavoro.Ma, ogni volta in cui mi diceva che facevo schifo, mi mostrava esattamente come e perché. Ridisegnava quel che avevo realizzato su pezzi di carta carbone. Io me li tenevo e studiavo su di essi. Era un mentore in senso classico, un sensei, nel senso che era durissimo, ma anche incredibilmente generoso, ogni volta. Più di ogni altro individuo, mi ha allenato a questo lavoro.
Da ragazzo, leggevo un sacco di fumetti di Superboy e della Legione dei Super-Eroi. Cose del genere. Ma non sapevo chi fosse Curt Swan, né chi realizzasse le storie. Non ricordo di aver mai visto dei credit. Poi arrivò la Marvel e iniziò a mettere i nomi degli autori. Quello di Stan Lee era ovunque. Steve Ditko faceva cose meravigliose, arte urbana. Poi c'era la potenza delle potenze, Jack Kirby.
I loro nomi erano nei fumetti e i loro stili avevano la possibilità di distinguerli. La cosa più vicina a uno stile "della casa" che c'era alla Marvel era Jack Kirby, perché era lui che disegnava la maggior parte delle storie. Ditko, però, non gli poteva somigliare meno, e quando arrivò Gene Colan, ecco uno stile ancora diverso. John Buscema sembrava Michelangelo, paragonato a tutti gli altri. Quella, per me, è stata un'epoca di esplosione di individualità che ha cambiato le cose per sempre e ha dato la possibilità a gente come me, alla mia generazione, di sentire di poter avere uno stile indipendente.
Aggiungeteci la magia selvaggia di Robert Crumb e di Underground Comix e assisterete alla continuazione di quell'esplodere, proprio quando sembrava che non ci si potesse spingere più lontano. A New York, aprì il negozio Forbidden Planet e i fumetti europei furono liberati sul suolo americano. Ecco un'altra esplosione negli anni Settanta. Quando iniziammo a sentire l'impatto di Jean Giraud. Non ci fu un singolo disegnatore americano che non ne risentì. Più i fumetti divennero una cosa internazionale, più migliorarono.
Fonte: Comicon