Festival di Cannes 2021: che scelta ha fatto il festival nell'annata più facile

Il festival di Cannes2021 annuncia una lineup come prevedibile molto densa, ma a sorpresa non gioca sul sicuro e scommette su molti nuovi talenti

Critico e giornalista cinematografico


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Per una volta la valutazione sul Festival di Cannes si fa su chi non c’è. La massa di film di grandissimi nomi pronti e in attesa di una presentazione in un festival è tale che gli esclusi sono forse tanti quanti gli inclusi. Non che non si sapesse in anticipo, ma con la presentazione della Quinzaine ancora da arrivare e poi ovviamente Venezia (e Toronto) a Settembre ci si stupisce poco dell’assenza del nuovo film di Paul Thomas Anderson o del fatto che non ci siano titoli di Netflix. Come del resto che non ci siano molti italiani (Sorrentino era noto e vista la consueta rapidità con cui stanno realizzando il film per Venezia è lecito sperare in America Latina dei D’Innocenzo). In molti, nell’industria, sostengono che una volta tanto Barbera li abbia soffiati a Cannes. Se confermata sarebbe una bella notizia.

Ma basta parlare di chi non c’è e sotto con chi c’è.

Ovviamente è una selezione mostruosa e una volta tanto non lo è solo per il carico di grandi numi del cinema convocati sul tappeto rosso, ma lo è anche per scelta, ricerca e desiderio di scoprire. Ci sono più opere prime che in precedenza, Fremaux ha ribadito che Un Certain Regard è stato riorientato in quella direzione (di realmente noto c’è solo Alexey German Jr., e non è proprio notissimo), creando un bilanciamento da tempo auspicato per un festival che sempre di più sembrava una carrellata di vecchie glorie con film mediocri.

Fa in questo senso piacere vedere nel concorso dei nomi in ascesa e non solo gli stra-confermati che non hanno più nulla da dimostrare. Fa piacere vedere Sean Baker, genio di Tangerine che era in Quinzaine con Un sogno chiamato Florida e ora in concorso con Red Rocket (senza dubbio lui, tra tutti, è quello più sotto esame, quello che deve dimostrare di meritare la promozione); fa piacere vedere che il festival insiste con Justin Kurzel (un loro protetto su cui puntano nonostante alcune delusioni); fa piacere vedere Nadav Lapid (vincitore di Berlino con Synonymes), Mia Hansen-Løve e la grandissima Andrea Arnold fuori concorso con l’astro emergente ungherese Mundruczo (quello di Pieces Of A Woman, esploso a Cannes con Una Luna chiamata Europa e White Dog).

Molto meno piacere lo fa il vedere che insistono ancora con Eva Husson dopo l’allucinante Girls Of The Sun, uno dei film più spocchiosi, presuntuosi e amatoriali della sua annata.

Nell’anno più facile, quello con più film da scegliere, quello in cui le difficoltà saranno più che altro logistiche e in cui Cannes deve dimostrare di essere sempre il primo tra i festival per potenza, senza gli streamer e arroccato sulle sue solite posizioni, la direzione ha scelto di prendersi dei rischi puntando sulla scoperta, non ha scelto di giocare solo sul sicuro, come pure avrebbe potuto fare, ma lascia fuori qualche nome grande per mettere qualcuno di meno noto. Scommette. Sanno e ribadiscono che la loro sopravvivenza in cima alla catena alimentare dei festival non sta solo nel potenziale attrattivo ma nella capacità di essere la piattaforma del nuovo. Il cinema americano c'è ma (al momento e tolto Wes Anderson) non ci sono i nomi più noti con i film con maggiore potenziale commerciale. E la scelta c'era.
Soprattutto, puntano sulla patria. Se questo fosse un commento da quotidiano cartaceo sarebbe iniziato con “Cannes riparte dalla Francia”.

C’è un italiano, il più atteso (Nanni Moretti, che ha bruciato l'annuncio solo poche ore prima con un clamoroso video su Instagram), e ben sette francesi! Sette film francesi in concorso. Se il festival di Venezia mettesse 7 film italiani in competizione i selezionatori verrebbero crocifissi davanti al palazzo del casino, posizionati ordinatamente ai lati della croce del direttore. Invece la Francia fa scudo e dopo un’annata difficile, dopo che un’edizione non si è tenuta e dopo che molti cineasti hanno tenuto i loro film da parte li schiera senza pietà, puntando a premi. Molti premi. Oltre a questi mette Desplechin fuori concorso e così anche Amalric e il film di esordio di Charlotte Gainsbourg. Addirittura l’unico film nella sezione dei film di mezzanotte è francese (Bloody Oranges, gran titolo)!

A voler essere cattivi (perché no?) si può dire che abbiano supplito all’assenza di Netflix (e di tutte le piattaforme che come Netflix non rispettano le uscite cinematografiche in sala canoniche) affondando le mani nel cinema casalingo. Netflix potrebbe portare i suoi film fuori concorso ma non lo ha fatto nemmeno quest’anno (e non che gli manchi la scelta di altri festival che invece li mettono in concorso).

Per i grandi nomi inutile stare ad elencarli, ognuno ha il suo preferito (e anche chi li ama tutti), basta dire che alcuni di questi non sembrano aver portato il loro solito film. Se Paul Verhoeven si presenta con un film che sembra fatto a forma di Verhoeven (Benedetta) e Wes Anderson e Todd Haynes pure, sia Audiard che Serebrennikov che Leos Carax sulla carta sembra si siano mossi fuori dalla loro comfort zone. Certo questo non è qualcosa che decide il festival, il quale giustamente avrebbe messo in cartellone qualsiasi film avessero fatto questi autori, ma lascia ben sperare per l’edizione. Come lascia ben sperare il ritorno di Asghar Farhadi con un film dal titolo The Hero, e la più grande curiosità (conoscendo il suo cinema) è se sia un titolo ironico o no.

Infine nel capitolo “amici del festival di Cannes che portano quel che anno” c’è Oliver Stone che riscalda la minestra di JFK con un documentario e Hong Sang-soo con il suo film di quest’anno.

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