Federico Fellini è ovunque ma i suoi film no. Nessuno li vede, nessuno si ispira, nessuno ne segue la strada
Che fine ha fatto Federico Fellini nel nostro immaginario? Parliamo sempre di più di lui ma non vediamo i suoi film e (quasi) nessun regista si ispira a lui. È morto due volte
Federico Fellini, il nostro speciale per il centenario dalla nascita
Prima di tutto, questo:
L’omaggio all’omaggio che Stasi e Fontana, i registi di Metti la Nonna In Freezer e Bentornato Presidente, hanno fatto alla capacità di Paolo Sorrentino di omaggiare Federico Fellini. È un documento importante non solo perché nel nostro paese sono quasi sconosciuti i casi di registi di lungometraggi per il cinema che producono e montano un video essay su un loro collega, ma perché mostra qualcosa di esotico, inedito, mai visto: la dimostrazione che nel nostro paese qualcuno ricorda i film di Fellini.
A 100 anni dalla nascita e 27 dalla morte di Federico Fellini rimangono aneddoti, interviste e alcuni titoli. Non i film. I film sono largamente non programmati dalle televisioni, ampiamente sconosciuti a chi non li abbia visti al cinema all’epoca dell’uscita o agli appassionati, in linea di massima poco studiati.
Soprattutto sono trascurati dal nostro cinema.
L’impronta, lo stile e le idee di Fellini sono contemporaneamente famosissime e per nulla influenti. Con l’eccellente esclusione di Paolo Sorrentino non ci sono altri registi che possiamo dire figli di Fellini (forse il primissimo Nanni Moretti, da Sogni d'Oro fino a Palombella Rossa). Quella maniera di raccontare fondendo la fantasia alla realtà, quell’umorismo grottesco e caricaturale, l’uso di set elaborati, la deformazione come cifra della messa in scena o la capacità di immaginare un film a partire dalle immagini invece che dalla scrittura, non appartengono al cinema italiano che invece guarda ad altri maestri. Il neorealismo, su tutti, la commedia all’italiana subito dopo. Non che siano meno maestri, non è una gara, ma è un dato di fatto che Fellini, con tutta la sua capacità di caratterizzare i propri anni, non ha lasciato un’eredità vera.
Alzando ancora un po’ l’asticella in pochi, pochissimi, hanno quella capacità di osare visivamente che aveva Fellini. Anche chi non segue la sua strada a livello di stile comunque non ha quell’ambizione e quel senso di ampiezza del cinema che aveva Fellini. Nemmeno quello è passato.
Quasi nessuno ha il coraggio di spiazzare e rischiare con scelte audaci. Chi mai appenderebbe un’altalena nel nulla altissimo? Chi mai è capace di immaginare film in cui gli effetti speciali sono visibili come il mare fatto di tessuto? Chi ha l’ambizione di creare un film personale e metalinguistico come 8 e mezzo? Chi sfonderebbe lo stile di un film molto concreto reale come Il Bidone con una sequenza delirante come quella della festa? Chi pensa di poter ricostruire Via Veneto in interni in un film di pura finzione? Chi può proporsi un film come Roma, che racconti un’intera città con passaggi di evocazione quasi spiritica che traslano problemi piccoli e concreti di un comune in passaggi epici e universali?
Le aspirazioni in linea di massima sono ben più basse.
Il cinema italiano ha scelto l’altro versante, quello delle storie vere con interpreti dai volti reali, riprese nei veri luoghi in cui sono ambientati. Ha scelto di stare attaccato al sociale, di avvicinarsi sempre di più agli ultimi cercando di trascinare loro dentro al cinema. Ha scelto di trascurare l’astrazione e l’allegoria preferendogli la prosa e lo stile semi-documentaristico. Documentare il reale invece che raccontare l’immaginario. Ha insomma decisamente a cuore più Rossellini e Pasolini di quanto non abbia a cuore Fellini.
A dispetto delle celebrazioni e di una retorica infinita che sembra quasi complottare per marginalizzare sempre di più Fellini, rendendolo un’icona dell’arte e non qualcuno i cui film sono belli, divertenti e appassionanti, il cinema di Fellini continua a rimanere ampiamente sconosciuto. Non lo è La Dolce Vita, non lo è Amarcord e non lo è 8 e mezzo. Ma il giro si ferma qui. Capolavori come Il Bidone, La Strada, Toby Dammit, I Vitelloni, Lo Sceicco Bianco o Il Casanova, sono ridotti ad un pugno di immagini sempre rimandate, totalmente decontestualizzate.
Il cineasta italiano più noto all’estero dopo Sergio Leone è morto non solo fisicamente ma anche culturalmente per diventare feticcio. Fellini è un pezzo da museo largamente sconosciuto che quasi nessun regista o sceneggiatore attuale cerca di mantenere vivo portandone avanti lo stile. È la stessa condanna subita da Antonioni, la cui strada è terminata con la sua morte e i cui film sono come banditi. Nessuno li trasmette, nessuno porta avanti quello stile, nessuno lo cita come ispirazione. Solo che Fellini ha un potenziale commerciale, una modernità e una capacità di sembrare non legati a nessuna epoca ma buoni per ogni età che non hanno paragoni.
Non è una questione solo di un cineasta, per quanto noto e importante, i cui film sono finiti in un cono di dimenticanza per quanto sempre nominati. È una questione di direzione. Se il nostro cinema fatica in maniera terribile con il fantastico è anche per questa ragione, perché sceglie continuamente di prediligere il semi-documentaristico, perché non trova interessante fare in modo che i film rendano visibile l’impossibile, fuggano in territori da sogno o da pura immaginazione, che impieghino insomma tutte le armi a loro disposizione (oggi più digitali che analogiche) per lavorare sulle immagini.
Una sequenza come quella dell’arrivo della pioggia nel sito del miracolo in La Dolce Vita così grande, complessa, ambiziosa, raffinata e dall’impeccabile realizzazione tecnica, chi ha il coraggio di immaginarla?
Parliamo spesso del fatto che il cinema italiano ha un problema con il fantastico ma se dovessimo essere precisi, a 100 anni dalla nascita di Fellini, dovremmo dire che ha un problema anche con la rappresentazione grandiosa, astratta e magniloquente del reale.