Fabio Guaglione e lo straordinario successo di Il mio nome è vendetta: dalla genesi al ruolo fondamentale di Gassmann

Fabio Guaglione ci racconta lo straordinario successo di Il mio nome è vendetta, dalla genesi al ruolo fondamentale di Gassmann

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In diretta su Twitch con Francesco Alò per la rubrica “Cinema e Serie con Nonno Alò”, troviamo ospite Fabio Guaglione, uno dei soggettisti di Il mio nome è vendetta, diretto da Cosimo Gomez.

Il film, uscito su Netflix il 30 novembre, sta realizzando numeri giganteschi, come ci dice Guaglione stesso.

Salutiamo l’incredibile successo del film che al suo ottavo giorno è terzo nella classifica Netflix mondo.

Testimonia poi quello che sembra un avvicinamento delle produzioni italiane al cinema di genere.

Tutto è nato da una conversazione con Colorado film che era intenzionata a fare un revenge movie, cosa che mi ha molto colpito. Quindi io e Franco Fraternale, che è uno sceneggiatore con cui lavoro, avevamo nel cassetto un soggetto che ha risvegliato l’interesse. (…) Il progetto ha avuto un lungo sviluppo. È arrivato Cosimo che ovviamente in quanto regista ha voluto dare una sua direzione al film, poi è arrivato Dazieri, è arrivata Netflix...

Guaglione ha le idee chiare su quali possono essere i motivi della fortuna della pellicola e, uno di questi, è sicuramente la presenza di Gassman.

Dare ruoli insoliti a un attore è proprio cibo in questo momento qua. Innegabilmente, parte del successo di Il mio nome è vendetta, è Gassman perché ha una cosa che spesso manca ai film italiani di qualsiasi genere che è la credibilità. Lui è assolutamente credibile come nostro Liam Neeson: è alto, ha una stazza, una faccia che fa paura, si muove bene. Netflix ha concesso una cosa che spesso non succede: una lunga preparazione, perché banalmente costa. Quindi lui ha avuto diversi mesi prima delle riprese del film per addestrarsi. Questo penso si veda innegabilmente. Io penso che il film, al di là del gusto personale, sia confezionato veramente molto bene.

Le idee chiare Guaglione le ha anche su quello che, secondo lui, dovrebbe fare il cinema (italiano) in questi anni, sul tipo di film che bisognerebbe produrre. E riflette con noi ad alta voce, prima di lasciarci.

Bisogna creare dell’interesse. Perché alcuni film funzionano e altri no? Secondo me l’unica cosa da non fare oggi sono prodotti inutili. C’è troppa roba. (…) Secondo me si inizia a vedere che quando degli autori o dei produttori prima di partire in quarta su un progetto pensano: ma questo a chi è rivolto? Chi se lo guarda? Quando si fanno quella domanda il prodotto, spesse volte, funziona. Quando c’è quella riflessione lì a monte, ci sono ancora dei rimasugli di un sistema industriale. Sappiamo benissimo che per decadi molti hanno ragionato su altre questioni, quindi sull’autorialità, che è sacrosanta, però magari su dieci film d’autore, due sono veramente d’autore.

Potete recuperare l’intera chiacchierata qui sotto:

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