Die Hard è un genere a sé
Die Hard ha ridefinito come si scrive un film action e ha creato un intero filone di variazioni sul tema di se stesso
Il fatto che Die Hard, o Trappola di cristallo come lo conoscevamo qui in Italia nel 1988, abbia incassato quattro volte il suo budget produttivo è il tipo di dato che, se stessimo parlando di qualsiasi altro film, verrebbe immediatamente sbandierato come prova del suo successo. Nel caso del film di John McTiernan, invece, parlare di soldi è una volgarità; per avere davvero la misura di quanto Die Hard sia uno dei film più importanti di sempre bisogna invece guardare a un altro dato, quello creativo – nello specifico, il numero di cloni che ha prodotto.
Die Hard with a Bruce
Nato su carta come adattamento del romanzo di Roderick Thorp Nulla è eterno, Joe, Die Hard venne venduto agli studios (nello specifico a Fox) come “Rambo in un grattacielo”: una descrizione sintetica, efficace, di immediato impatto e assolutamente falsa. Rambo, come la totalità degli eroi (maschile non casuale) action anni Ottanta, era un culturista, un atleta, un guerriero, un soldato, un mercenario, insomma un supereroe senza superpoteri che da solo era in grado di sgominare l’esercito di un intero Paese.
Die Hard e l'uomo qualunque
La scelta di Bruce Willis è doppiamente interessante perché lo stesso McTiernan, solo un anno prima, aveva contribuito con Predator non solo a perpetrare ma a perfezionare a livelli difficilmente superabili l’archetipo dell’eroe action tutto muscoli e riflessi pronti, e ora si trovava a dover gestire un attore noto per la sua brillantezza e i suoi tempi comici ma palesemente non attrezzato per fare concorrenza ai grandi del genere. Nel giro di due anni, dunque, McTiernan prima elevò, poi demolì l’idea stessa di “protagonista di film action”.
John McClane, il poliziotto interpretato da Bruce Willis, è un signor nessuno, è l’uomo qualunque che si trova invischiato in una situazione più grossa di lui e se la cava con ingegno, sangue freddo e molta incoscienza. Per oltre due ore McClane si aggira a piedi nudi per un grattacielo di quaranta piani eliminando un terrorista dopo l’altro per poi tornare nell’ombra (come Predator insomma), e soprattutto si fa un male cane, deve strisciare, andare a sbattere contro cose, viene picchiato, bersagliato di proiettili; eppure ne esce sempre vincitore, non perché è più forte ma perché è più furbo.
Tutti quanti vogliono fare Trappola di cristallo
Quando non è impegnato a ridefinire l’uomo medio come nuovo eroe action per il decennio a venire, Die Hard si diverte poi a riscrivere anche la figura del villain, inventandosi quello che in mancanza di termini più precisi abbiamo deciso di definire “il cattivo fico”. Hans Gruber è intelligente, colto, persino snob, un Moriarty insomma, il capostipite di tutti quei cattivi per i quali non puoi fare a meno di tifare almeno un pochettino. Il film di McTiernan, poi, è anche il prototipo del film action che si svolge in un ambiente chiuso e confinato, la versione cinematografica del bottle episode di una serie TV: in Die Hard è un grattacielo, in The Rock sarà Alcatraz, in Passenger 57 un aereo, in Trappola in alto mare una corazzata, in Sotto assedio e Attacco al potere la Casa Bianca...
Il punto è che potremmo andare avanti per ore a citare variazioni sul tema, a elencare film la cui trama si può riassumere in “tipo Die Hard ma”. Non è un caso se la Biblioteca del Congresso in America nel 2017 l’ha inserito nel National Film Registry: Trappola di cristallo (lasciateci usare un’ultima volta il bellissimo titolo italiano) non è solo uno dei più grandi film action di sempre ma anche, forse soprattutto, un manuale d’istruzioni, un modello da seguire, talmente semplice e sintetico che sembra fatto apposta per essere copiato, ripreso, modificato, arricchito. Die Hard è un film che avete già visto anche se non l’avete ancora visto: difficile pensare a un complimento più grande.