David 2018, ognuno ha la sua polemica per le nomination, ma a cosa serve questo premio?

Paolo Franchi auspica David meno nazionalpopolari, Ficarra e Picone sono contrari ad un sistema che non premia gli incassi, intanto tra i nominati ci sono solo film dal piccolo box office

Critico e giornalista cinematografico


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La vera notizia riguardo i David di Donatello di quest’anno non è il ritorno della trasmissione in RAI dopo un paio d’anni di boccate d’ossigeno su Sky (per il 2018 la conduzione sarà di Carlo Conti, la vera controriforma che ci meritiamo come pena per aver osato plaudire l’eresia dei David non a cura della tv di stato), ma il fatto che prendendo come rappresentante della selezione la categoria principale (Miglior Film), non si trovi nemmeno un lungometraggio che abbia realizzato un incasso sostanzioso.

Su 5 nominati, 3 hanno incassato meno di 500mila euro (Gatta Cenerentola, A Ciambra e Nico, 1988), mentre gli altri due hanno incassato La Tenerezza 2,1 milioni di euro e Ammore e Malavita 1,4 milioni. In buona sostanza il grande pubblico non li conosce o li conosce a malapena.

Certo ci sono anche altri titoli ben rappresentati ai David e con un numero congruo di nomination che sono nella fascia di più di un milione di euro di incassi (come Napoli Velata o The Place), tuttavia è evidente che nella categoria miglior film, cioè il premio più importante, siano finiti film che non molti hanno visto o conoscono. Eppure non si tratta di chicche da festival.

Con l’esclusione di Nico, 1988 e A Ciambra, che sono di certo per un pubblico più ricercato, gli altri titoli non sono assolutamente snob o elitari: La Tenerezza è una storia dolceamara con diverse star (Elio Germano, Giovanna Mezzogiorno, Micaela Ramazzotti) da un regista popolare come Amelio; Gatta Cenerentola è un film d’animazione di fantascienza d’incredibile appeal e potenzialità commerciale; Ammore e Malavita un musical con diversi nomi noti (Giampaolo Morelli, Serena Rossi, Claudia Gerini, Carlo Buccirosso) molto divertente, colorato e solare.

Non è insomma un cinema difficile che è stato selezionato dai 1491 componenti della giuria del David (votano diverse persone, la lista è online, a diverso titolo e per diversi motivi, complessivamente però rappresentano quella cosa vaga che chiamiamo “industria del cinema” e mette insieme diverse tipologie di professioni che riguardano il fare, distribuire e parlare di film), anzi è uno inusualmente commerciale, per quanto non smaccatamente tale. Semmai è stata l’annata ad essere stata magra, a non aver riservato molti esempi di quel cinema d’autore di incasso buono da sempre amato dai David, un anno in cui abbiamo visto il cinema italiano calare molto rispetto al passato.

Eppure gli autori del più grande incasso italiano del 2017, Ficarra e Picone, hanno garbatamente segnalato che il loro film non è presente perché loro non lo hanno voluto iscrivere (quindi non era votabile) e del resto loro stessi non votano i David da tre anni a questa parte, come forma di protesta non violenta. Non spiegano benissimo le proprie ragioni ma motivano il rifiuto parlando di un meccanismo di votazione che non gli piace. Probabile che facciano riferimento al fatto che film come il loro L’Ora Legale (che pure è molto più sveglio e intelligente della media del cinema di grandissimo incasso) tendano a non vincere, quindi a non essere votati, benché amati e di successo. In coda al comunicato fanno gli auguri alla nuova presidente dell’ente David di Donatello Piera Detassis, certi che lei cambierà le cose.

Auguri e auspici fatti anche da un altro escluso, Paolo Franchi, che spera anche lui che la nuova presidente porti un cambiamento, ma diverso. Franchi ha commentato la mancata inclusione del suo Dove Non Ho Mai Abitato (la sua produzione l’aveva iscritto il film, solo che non è stato votato a sufficienza per prendere nomination), adducendo come motivazione il non aver mai fatto parte dei “salotti romani”, espressione con cui si intende alludere solitamente altura  fatto che certi film e certe dinamiche dietro l’industria del cinema sono decise da piccole cerchie residenti a Roma.

L’auspicio di Franchi è stato però che la nuova direzione renda i David sempre meno nazionalpopolari. L’esatto opposto di quello che sembra di capire auspichino invece Ficarra e Picone.

Si tratta della questione più annosa riguardo ai premi retrospettivi (quelli dati ai film già usciti e non alle premiere come avviene ai festival): devono rispettare gli incassi e considerare i film che dimostrano di essere amati dal pubblico o devono avere criteri loro, indipendenti, che possano incrociare o meno il box office?

Non esiste una risposta univoca, perché anche gli Oscar, alle volte, premiano film dall’incasso misero, e quella hollywoodiana è sicuramente un’industria che rispetto alla nostra venera l’incasso con una sudditanza maggiore. Ma onestamente sembra di poter dire che i David abbiano spesso premiato il buon riscontro di pubblico se accompagnato da film ritenuti di rilievo. Perfetti Sconosciuti, La Pazza Gioia e Lo Chiamavano Jeeg Robot ne sono stati esempi recentissimi. I premi non sono dunque impermeabili al box office, anzi proprio Jeeg Robot dimostrò quanto un incasso imprevisto di un film fuori da ogni schema italiano fosse stato benvenuto dall’industria. Di certo il film di Gabriele Mainetti, non avesse avuto quel consenso di pubblico, non sarebbe arrivato a tutti quei premi (a proposito di salotti romani, Mainetti il film lo dovette autoprodurre perchè nessuno lo voleva fare, quando si dice un outsider...).

Dall’altra parte a che cosa serve un premio, cioè un riflettore in più puntato su un film che già ha fatto la sua corsa in sala, se non ha l’obiettivo di mettere in risalto il merito a prescindere dagli incassi? Fermo restando che esistono i premi per gli incassi (i biglietti d’oro) e che i David non sono contrari alle commedie (basta chiedere a Virzì o a Benigni di mostrare la loro collezione), sembra opportuno anche rimarcare come all’esigenza di incassare e promuovere un cinema buono per il pubblico, vada anche affiancata quella di dare un’opinione collettiva (che viene da 1491 giurati, più che un parere è lo zeitgeist dell’industria) che prescinde da questo e cerca di segnalare qualcosa di ottimo anche se il pubblico non l’ha premiato o non ha avuto modo di premiarlo per strategie distributive complicate.

Altrimenti, davvero, che li consegnamo a fare? Per goderci la cerimonia su Rai Uno?

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