David 2016: con il trionfo di Jeeg Robot l'industria italiana mostra la direzione che vuole prendere

Premiato e santificato con 7 David di Donatello, Lo Chiamavano Jeeg Robot viene riconosciuto come il modello da imitare dall'industria del cinema italiano

Critico e giornalista cinematografico


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Al di là dei premi assegnati, del numero di statuette e delle categorie più o meno importanti in cui si sono distinti i film vincitori della serata, cioè Il Racconto dei Racconti e Lo Chiamavano Jeeg Robot, la cosa che più di tutte è emersa dalla serata dei 60esimi David di Donatello è un cambio di paradigma che, in un’incredibile coincidenza di forma e contenuto, è avvenuto proprio nell’anno in cui la cerimonia passava da RAI a Sky, dall’istituzionale al commerciale, di colpo modernizzandosi.

In una serata più all’americana, ma basterebbe dire anche solo “più riuscita”, per la prima volta abbiamo avuto la netta sensazione che i David di Donatello siano premi diversi da quelli assegnati nei festival, che non vivano alla loro ombra ma abbiano una loro identità.

Nella pratica diversi lo sono sempre stati, perché vengono dati pubblicamente, a film che sono già stati in sala e da una giuria di più di 1.900 persone, invece che a film che nessuno ha potuto ancora vedere, da un gruppo molto ristretto e selezionato in una manifestazione locale come un festival. Tuttavia in passato i David spesso avevano ricalcato quel tipo di gusto festivaliero, schifando il cinema più commerciale e di intrattenimento (ad onor del vero anche sempre poco rappresentato se non proprio poco girato in Italia), per preferirgli i medesimi film che si sarebbero potuti contendere i premi di un festival. Questa volta invece non è stato così. Per la prima volta è davvero sembrato che i David di Donatello, come i BAFTA o gli Oscar, abbiano premiato il cinema migliore tra quello più amato dal pubblico.

Ha vinto Lo Chiamavano Jeeg Robot, passato in anteprima alla Festa del cinema di Roma, ritirando 7 statuette appartenenti a 7 categorie pesantissime (tutti gli attori, montaggio, produttore e regista esordiente). E ha vinto anche Il Racconto dei Racconti, prendendo anch’esso 7 premi tutti in categorie tecniche, più quello al miglior regista. Tale è stata l’impressione della vittoria schiacciante che anche Matteo Garrone, nel ritirare il suo David per la miglior regia, è stato il primo a ricordare, scherzando, che per sua fortuna Lo Chiamavano Jeeg Robot non era candidato in quella categoria.

La cosa realmente incredibile è che i due film trionfatori dell’anno, secondo l’istituzione più tradizionalista che ci sia, sono opere che flirtano con il fantastico, uno dei quali passato a Cannes ma comunque più commerciale della media. Addirittura anche un concorrente di tutto riguardo come Perfetti Sconosciuti, amatissimo dal pubblico ma decisamente più tradizionale per il nostro panorama, si è dovuto accontentare (si fa per dire) di due statuette: miglior sceneggiatura e miglior film. E uno con un pedigree che in altre annate avrebbe fruttato una valanga di premi come Fuocoammare è rimasto a bocca asciutta mentre un altro che godeva dell’impatto emotivo dato dalla scomparsa del suo autore (prima ignorato ora venerato), Non Essere Cattivo, ha portato a casa solo il premio per il miglior fonico di presa diretta. Nonostante quel che diranno tutti, era un risultato davvero imprevedibile.

In un anno che ha visto una sterzata netta nella maniera in cui il cinema italiano cerca il suo pubblico, con più film di genere e meno ripetitività, meno solite storie scritte, girate e recitate nelle solite maniere, anche i premi più importanti di settore hanno cambiato tono. Le due cose non sono correlate tra di loro ma paradossalmente sembrano essersi accordate per una felice casualità. Una cerimonia come quella che abbiamo visto avrebbe stonato se ad essere premiati fossero stati i soliti, avrebbe stonato come ha stonato, per chi l’ha visto, il tono smorzato, autoriferito e borioso di Toni Servillo o i silenzi immobili dell’eterno Gian Luigi Rondi mentre tutto intorno a lui sembrava muoversi a velocità doppia.

L’abbiamo detto spesso che un film come Lo Chiamavano Jeeg Robot non è un caso che sia arrivato adesso, perché ora il cinema italiano (inteso come il complesso di produttori e distributori) ha capito che è in quella direzione che deve investire. L’aveva fatto già con Il Ragazzo Invisibile e sempre di più intende farlo come dimostra ora nelle sale la presenza di Veloce Come il Vento. L’ha deciso e ora, dopo critica e pubblico, ha premiato la propria decisione, indirettamente confermando l’intenzione di proseguire in questa direzione. Noi non possiamo che applaudire a tutto questo.

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