Da Squid Game a Battle Royale: il gioco al massacro è servito!
Squid Game è tra le serie del momento su Netflix: cinema, tv e fumetti asiatici hanno una lunga tradizione di giochi al massacro...
La tematica del survival game è stata ampiamente sfruttata prima in letteratura e poi nel cinema: in epoca moderna, potremmo dire che prende il via con il romanzo Il signore delle mosche di William Golding che prefigura come beneducati ragazzini di buona famiglia possano recedere a uno stato barbarico in situazioni estreme, al di fuori del consesso civile. Questo, naturalmente, vale anche per gli adulti ed è alla base tanto di visioni postapocalittiche in cui la civiltà è venuta meno e torna a vigere la legge del più forte quanto di futuri distopici in cui l'umanità è stata spersonalizzata e i diritti fondamentali tornano a essere una conquista da prendersi con la forza.
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Tuttavia, chi ha fatto del genere una sorta di arte, perfettamente in grado di tenere incollata allo schermo gli spettatori trasmettendo anche messaggi interessanti, sono le industrie dell'intrattenimento giapponesi e sudcoreane, che hanno molti punti in comune tra loro.
Lo stesso Squid Game è, difatti, una produzione Netflix basata in Corea del Sud che si rifà ampiamente ad altri classici del genere, con semplicità e notevole perizia. La trama, come nei migliori thriller, è semplice da spiegare, ma molto inquietante nei risvolti: 456 persone con forti necessità economiche vengono assoldate per una sorta di reality show, in cui dovranno gareggiare in svariati giochi dell'infanzia. La competizione è ad eliminazione, ma il vincitore unico si godrà il premio di ben 45.6 miliardi di won (circa 33 milioni di euro, al cambio attuale). Il problema è che l'eliminazione dei concorrenti sarà letterale, cosa di cui gli stessi si renderanno conto solo dopo aver iniziato. Cosa nasconde davvero lo Squid Game? Chi riuscirà ad uscirne vivo?
A chi ha familiarità con anime, manga, videogiochi e cinema giapponese, già alle prime battute di Squid Game è inevitabilmente suonata una campanella in testa, dato che sembra un collage di suggestioni riprese altrove e rielaborate in maniera intelligente. Come dicevamo, si tratta di un archetipo di trama piuttosto in voga, che aggiunge la drammatizzazione ai classici giochi del Takeshi's Castle, che ha poi visto tante incarnazioni anche in occidente, da Giochi senza frontiere a Floor is lava.
Il grande classico del genere: Battle Royale
L'epigono più celebre, da questo punto di vista, è sicuramente Battle Royale, romanzo distopico del 1999 di Koushun Takumi in cui il Giappone è diventato preda del totalitarismo e una classe a caso delle scuole medie nazionali viene sorteggiata per massacrarsi a vicenda, come monito per l'intera società. Dal romanzo è stato tratto un manga, piuttosto brutale quanto significativo, e il celebre, ultimo film del Maestro Kinji Fukasaku, con nel ruolo di “villain” Takeshi Kitano e un indimentacabile cast di giovani vittime... e carnefici. Da lì sono arrivati un sequel cinematografico e diversi spin-off a fumetti, segnando per sempre il tema e facendo conoscere la visione e l'approccio “orientale” al genere.
C'è, difatti, da considerare un elemento quasi totalizzante: mentre i survival movies del genere realizzati in occidente sono ambientati in contesti distopici in cui l'umanità è ormai andata generalmente persa e i protagonisti sono letteralmente barlumi di virtù in un mondo di barbarie, i setting dei film giapponesi e coreani del genere prevedono spesso la “perdita dell'innocenza” dei loro protagonisti.
È una delle cose che Hunger Games non poteva certo “rubare” a Battle Royale: i sorteggiati alla mietitura vivono già un mondo di orrori e privazioni in cui la vita umana vale ben poco. I ragazzini di Battle Royale, di contro, vivono sì in una società totalitaria, ma sperimentano l'orrore sulla loro pelle per la prima volta e uccidere, per loro, non è così scontato.
Un gioco da ragazzi
Battle Royale, tuttavia, è effettivamente un gioco al massacro in cui i partecipanti devono uccidersi tra loro, senza tante sottigliezze. L'idea dei giochi da affrontare e della competizione è stata ripresa da altre opere. Alice in Borderland, ad esempio, altra produzione Netflix (nipponica) che però è vissuta più come una sorta di gigantesca escape room alla The Cube, che come massacro tra i componenti interni del gruppo di giocatori.
Potremmo citare anche Assassination Classroom, da questo punto di vista, in cui un gruppo di studenti viene incaricato di uccidere il proprio nuovo professore, un alieno invincibile che vuole mettere alla prova l'umanità: se falliranno l'umanità è condannata, chi riuscirà a farlo fuori, tuttavia, vincerà anche un sostanzioso premio.
Qualcosa che mette alla prova l'integrità morale dei propri partecipanti, non solo nel campo dell'omicidio, è Liar Game, ad esempio. Originariamente un manga ad opera di Shinobu Kaitani, ha visto due diverse versioni live action, una nipponica e l'altra coreana. La posta in gioco? Enormi cifre di denaro, al costo di sacrifici, menzogne e colpi bassi. Chi vince diventa sempre più ricco, chi perde si indebita a vita in modo molto pericoloso.
L'opera verso cui Squid Game ha il debito più grosso, tuttavia, è probabilmente As The Gods Will, manga di Muneyuki Kaneshiro e Akeji Fujimura del 2011 divenuto in seguito un film di Takashi Miike, che con le trasposizioni di manga bizzarri (e possibilmente sanguinolenti) va a nozze, come sappiamo.
La storia ha un incipit simile a quella di Assassination Classroom, ma è molto meno buffa e decisamente più splatter: una classe di studenti viene obbligata a superare tutta una serie di prove basate su giochi dell'infanzia (il primo dei quali, un classico “Un, due, tre, Stella”) da parte di bizzarre entità sovrannaturali: fallire, naturalmente, vuol dire morire. Ma cosa c'è dietro questa invasione?
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