Cosa abbiamo imparato su Il Primo Re vedendolo con Matteo Rovere
Le svolte di un film aiutano i film che vengono dopo, le scene più difficili non sono solo quelle d'azione ma soprattutto a non fare film con Cervi
Il video lo trovate sul canale Youtube di Badtaste ma qui di seguito tutto quello che di nuovo abbiamo imparato sul film (e su Rovere).
Come funzione il progresso dell’industria
Alle volte il progresso di un film ha conseguenze molto più ampie. Capita che le soluzioni innovative che un regista pretende per il suo film poi diventino parte del repertorio delle maestranze che ci hanno lavorato, le quali portano quelle trovate o strumenti anche negli altri lavori che vengono dopo. Il caso classico è quello di Sollima con Romanzo Criminale e Gomorra che insegna e impara assieme alle maestranze a fare azione. Ma anche per Il Primo Re è capitato:
“Stefano Sollima è stato un precursore, spesso ti capita di andare a lavorare con delle società di post-produzione che ti dicono che un certo monitor particolare l’ha fatto venire Sollima e ora lo usano sempre. Ma ha proprio innovato dei dettagli e del lavoro sulle scene d’azione. Cose che ora possiamo fare tutti e per le quali prima le società non erano attrezzate. Noi per Il Primo Re abbiamo fatto comprare alla società che curava gli effetti pratici dei cavi per tirare gli attori nelle scene d’azione e sicuramente poi saranno usati per altri film”.
La sequenza più complicata
A parte l’esondazione del Tevere che apre il film e ha una serie di complessità tra set e post-produzione, la sequenza più lunga e faticosa da girare è stata quella in cui Romolo e Remo sono prigionieri e vengono fatti scontrare tra di loro per poi ribellarsi.
“Ci vuole tantissimo lavoro per una scena simile perché ad esempio Daniele Ciprì [il direttore della fotografia ndr] voleva che l’illuminazione fosse riverberata dai riflessi dell’acqua per tante piccole inquadrature, poi la sabbia dev’essere fatta in modo che gli attori non si facciano male, che non gratti, quindi è una miscela particolare. A questo si aggiunge il freddo, l’acqua, il fatto che è notte. Per fortuna è stata una delle primissime scene che abbiamo girato quando ancora l’entusiasmo era alto. Essendo poi una scena di rissa c’era anche sempre la paura di farsi male e un certo nervosismo dovuto alla fatica, alla pressione e al freddo. Per quanto agli attori puoi mettere i cappotti tra un take e l’altro e spruzzargli acqua calda sono situazioni estremamente complesse”.
Tutti attori di formazione
Rovere ha spesso lavorato con attori non professionisti come ad esempio era Matilda De Angelis quando la vide in un bar e la prese per Veloce Come Il Vento o anche come fece per Un Gioco Da Ragazze. In Il Primo Re invece, nonostante possa sembrare il contrario, sono tutti attori di formazione e la ragione è proprio pratica:
“Essendo un film molto fisico mi servivano tutte persone che sanno usare il corpo e non si spaventano di fronte a quel che devono fare. Sarebbe stato complicato per un attore meno esperto confrontarsi con una sequenza di violenza o di azione”.
L’archeologo
Tra le persone che hanno parlato e hanno discusso del film alla sua uscita c’è stato anche Valentino Nizzo, archeologo presso uno dei musei più importanti per quel che riguarda gli artefatti dell’VIII secolo a.C.. Nizzo aveva realizzato un video in cui spiegava quali artefatti funzionavano tra quelli del film e quali non erano coerenti. Invece che infastidirsi Rovere l’ha contattato e coinvolto nel lavoro per la serie Romulus.
Il successo all’estero
“I miei film vengono sempre pre-acquistati per la Corea e il Giappone. Non so perché ma lì vado fortissimo”. Il Primo Re ha avuto un venditore francese (Indie sales) molto contento di vendere un film così riconoscibile ed è stato anche acquistato per l’America, un paese abituato a questo tipo di genere e linguaggio. L’unica cosa che dispiace a Rovere è che in molti paesi il film non sia andato in sala ma direttamente in home video e VOD.
La lingua
“Avevamo fatto delle prove con i dialoghi in italiano e poi con i dialoghi in inglese ma facevo una grossa fatica a sentire vere quelle sequenze con lingue lontane da quel mondo. Alla fine in Italia è uscito con i sottotitoli mentre altre nazioni l’hanno doppiato” a fronte di questo poi su Romulus è stata presa la medesima decisione, la serie avrà i sottotitoli e sarà doppiata così che ognuno possa scegliere: “Curo il doppiaggio personalmente, e funziona eh. Però mi piace sempre dare al pubblico pure il contenuto premium, quello per chi vuole fare il percorso che ho fatto io e goderselo nella lingua antica”. Non a caso il Blu-Ray di Il Primo Re dà anche la possibilità di vedere il film senza sottotitoli, solo in latino.
La mediocrità
“C’è una quantità di roba brutta in giro terribile, poi non ce lo diciamo perché siamo trattenuti. In questo periodo storico c’è una forte energia di mediocrità, sento autori che non rischiano e non osano perché le televisioni impongono questa paura di non avere un punto di vista originale. Ma non è il compito del cinema avere questo timore, il cinema dev’essere avanguardia, dev’essere particolare, disturbante ed evocativo. I film che tutti noi portiamo nel cuore non sono facili sicuramente, poi possono piacere o non piacere.
Uno dei film preferiti della mia formazione è Together di Lukas Moodysson e quando andai a controllare cosa ne scriveva il Mereghetti ricordo che lessi che per lui è “un film per sciocchi borghesi e ritardati mentali”, e a 16 anni e non capivo perché mi piaceva così tanto, ma è bello che sia soggettivo”.
Gli incassi del film
Matteo Rovere concorda nell’idea che il fatto di non essere stato doppiato un po’ abbia reso difficile la vita in sala del film che uscì il 21 Gennaio con un primo weekend forte (1 milione) che faceva sperare un incasso totale di 3 milioni o 3 e mezzo. Il weekend dopo però è uscito The Mule di Clint Eastwood che puntava allo stesso target e gli ha levato circa un milione:
“Ma posso mai vivere il mio lavoro pensando che se esce The Mule è un problema, o se quel weekend piove o non piove fa la differenza…? L’incasso delle sale è influenzato da tantissimi fattori esogeni e il suo compito è quello di recuperare l’investimento pubblicitario (e questo film l’ha fatto). Su tutte le finestre successive poi il film ha recuperato generando per quasi tutti i produttori dei guadagni più o meno forti. Alla fine tutti i coinvolti sono rimasti soddisfatti economicamente, per questo mi fa specie e mi dispiace leggere anche da voi che il film non è andato bene, perché è un commento da bar di uno che non sa nulla e non da esperti”
Alla risposta che a prescindere dalla resa economica per chi ci ha investito rimane il fatto che per le ambizioni che aveva e per il numero di sale in cui è stato distribuito 2 milioni e mezzo sono comunque poco Rovere ha ribattuto: “Se consideri che è un film in latino prearcaico sottotitolato 2 milioni e mezzo mi pare un trionfo”.
Il cervo
Quel cervo che si vede nel film, quello che viene cacciato da Remo, è un esemplare che fu fatto venire dalla Romania (con un costo non indifferente) ma non si poteva ammaestrare:
“Il cervo è ripreso libero, infatti sono immagini un po’ freestyle, perché ci dovevamo adattare. In tutte le parti ravvicinate invece è un pupazzo in animatronic che viene dal Belgio. Ecco se posso dare un consiglio ai giovani registi: mai fare scene coi cervi, il cervo è complicato. A me però serviva perché è un simbolo, è il Dio del bosco, un simbolo dritto proprio. Qui Remo inizia il suo percorso di peccatore di ubris uccidendo un Dio e mangiandolo. Mi serviva un caronte che lo portasse dentro”.
Niente improvvisazione
Nonostante sul set avessero un “latinista junior” in contatto telefonico con altri latinisti per le emergenze o le variazioni, il fatto di non poter toccare le battute ha limitato decisamente l’improvvisazione:
“Anche perché non è semplice imparare quelle battute ma quando poi sono entrati entrano nel meccanismo anche loro non ne potevano più fare a meno. Dopo le prime settimane è diventato un loro modo di esprimersi”.
Lo stuntman senza gamba
Ad un certo punto ad uno degli uomini di Remo viene staccata una gamba, ed è una scena con pochissimi ritocchi digitali perché lo stuntman in questione davvero non aveva una gamba:
“Lui era felicissimo di questa cosa. Gli abbiamo messo una finta parte terminale della gamba piena di sangue, così che al taglio spruzzasse. E pensate che lui era un po’ che non lavorava, ma si è rimesso in forma per noi”.
Per il resto la maggior parte degli attori senza dialogo sono stuntmen mentre gli attori professionisti, come Borghi, hanno fatto la maggior parte degli stunt in prima persona.
La sequenza con la fotografia più complicata
“Il David alla fotografia non si regala, chi lo vince merita sempre” spiega Rovere durante la scena nel villaggio sulle paludi, in cui un villaggio costruito da niente è circondato da tubi che lasciano uscire nebbia, così che il sole scendendo creasse una rifrazione in tutto il villaggio colpendo la nebbia:
“Per questo vedi i raggi che attraversano i rami e i flare fortissimi. Volevo qui una sequenza espressionista con un impatto estetico di questo tipo. Remo torna dalla morte, esce dalle foglie, da sottoterra, rinasce contro gli avversari oscuri, decide di attaccare e quando arriva al villaggio è nel pieno del suo percorso di auto-divinizzazione shakespeariana che lo porta all’autodistruzione. Ci serviva un contesto paradisiaco-infernale”.
Il bosco dove hanno girato sta vicino Nettuno, un luogo malfamatissimo, ha spiegato sempre Rovere, in cui nessuno va mai e aveva davvero l’acqua coperta di mucillagine verde (cosa che loro avrebbe altrimenti messo artificialmente):
“Pensa che il guardiaboschi quando me l’ha mostrato voleva farmi il favore di levarmela tutta!!”.
Il rapporto con il cinema americano
Rovere da un po’ di anni ha un agente americano, qualcuno cioè che si occupa di procurargli provini da regista e possibili produzioni che lo vorrebbero, tuttavia rimane scettico:
“Penso che storicamente viviamo un momento opposto, ci sono molte produzioni americane che vengono in Europa, ad esempio il film di Sydney Sibilia [L’incredibile storia dell’isola delle Rose, prodotto da Groenlandia ndr] è prodotto con Netflix America, cioè con capitali americani. Ecco più che andare là penso che dobbiamo immaginare film europei internazionali, in inglese oltre che in italiano, film che creino un contesto sovranazionale per il cinema italiano. Io non aspiro molto alla forma espressiva americana ma ad una convergenza, quando le società si incontrano prendendo i punti di forza reciproca. Ho in sviluppo un film inglese ma poi si devono incrociare cast voglia di farlo e ci vuole tempo”.
Il dialogo di fronte all’incendio
Un momento che spiega bene la difficoltà di un film come questo è il dialogo tra Romolo e Remo di fronte all’incendio del villaggio, perché serve una preparazione maniacale e le riprese non possono durare ore:
“Quelle sono capanne con le canne del gas nascoste dentro, poi c’è un mefisto dei vfx che con una console di 5 metri apre e chiude manopole facendo salire e scendere le fiamme, e tutti vigili del fuoco intorno pronti ad intervenire. In più aggiungici che gli attori sono molto vicini al fuoco, c’è un calore enorme e anche se li bagniamo di continuo non è facile. Ognuno deve sapere dove stare e cosa trovare. Andiamo lì come soldati, rapidi e chiari, sappiamo ognuno che deve fare, come girare come coreografare, anche i dialoghi più semplici sono provati in palestra mesi prima. Sul set magari puoi scoprire un’angolatura migliore, uno sguardo migliore e ovviamente il pathos che viene messo, ma fino a lì siamo preparati”.
La società contemporanea
“Romolo alla fine capisce come controllare le persone tramite il sentimento religioso e Remo invece non si è reso conto che chi prova ad andare da solo viene punito. I fratelli rappresentano il dualismo che il film cerca di raccontare. Alla fine vince il più reazionario, e non è stato facile spiegarlo, ha vinto chi mette il sentimento religioso davanti mentre l’autonomo e folle che vuole essere artefice del proprio destino soccombe. E da tutto questo nasce la società contemporanea”.
Come si gira una battaglia di massa
Una grande scena di massa, piena di azione è impossibile da affrontare nel complesso, deve essere spezzettata in tante piccole parti e non farà che valorizzare il lavoro del montatore che poi deve ricostruire tutto. Per la battaglia finale Rovere si è diviso le parti da girare con la sua regista di seconda unità, così da renderla il più possibile avvincente e far sì che possa spiegare che Remo si sta perdendo standogli addosso.
“Queste sequenze le abbiamo girate con più di una macchina da presa contemporaneamente e c’è un lavoro non facile di raccordi. Se un attore cade in acqua e devi rigirare lui si deve asciugare, quindi serve un esercito di persone che asciughi e tamponi, poi vanno creati i raccordi per il sangue, se uno si prende uno schizzo deve averlo anche nella scena dopo, ed è un lavoro molto complicato che fa la segretaria di edizione. Quindi abbiamo una 60ina tra stuntmen, cavalieri e soldati e poi un 90/100 persone di troupe, quindi arrivi a 150 persone sul set”.
Il finale
Tutta la complessità sta nel fatto che Remo deve morire senza che Romolo ne esca condannato, perché il senso del film è che questi due fratelli hanno fatto di tutto per salvarsi ma avevano il destino contro di sé:
“Doveva sembrare al tempo stesso che Remo non lo volesse davvero uccidere e che lui si stesse difendendo. Deve sembrare che il vaticinio e la divinità o il destino siano più forti di loro, quindi pure che nessuno dei due lo vuole, lo stesso finiscono così. Infatti alla fine Remo punta la spada a Romolo ma rimane sospeso, quel momento che fa sì che Romolo non abbia alternative se non ucciderlo e subito dopo spera di non aver fatto niente di grave ma il fratello gli dice delle frasi belle”.