Il convegno: l’horror catartico sulla corruzione pubblica che in Italia capiamo bene

Il convegno è un horror svedese con una buona idea sviluppata timidamente. Materia perfetta per un remake in salsa italiana

Condividi

Un horror\slasher come Il convegno, con protagonisti i dipendenti pubblici, sarebbe un’ottima idea in Italia. Amati e odiati, simbolo di normalità e capro espiatorio di molte inefficienze del sistema burocratico, queste figure professionali sono raccontate, nel nostro paese, come delle categorie a parte. Checco Zalone è stato uno dei migliori a rendere il posto fisso nel pubblico una grande caricatura delle idiosincrasie dell’italiano medio.

Nel nostro immaginario cinematografico ci sono tre maschere fondamentali del dipendente pubblico: c’è quello dell'eroe raro. Lavoratore con la testa china sulla scrivania sulle cui spalle fragili pesa il mantenimento di una struttura fondamentale per i servizi al cittadino e lo sviluppo del territorio. Sempre nell’immaginario cinematografico (non è detto che corrisponda alla realtà, si intenda, è puramente cinematografico), a costui si contrappone “il Fantozzi”, ovvero la maschera di colui che cerca di tirare avanti, dove può e come può, senza grande morale, ma solo per mantenere la famiglia. Infine, il terzo grande soggetto, è quello del lavoratore negato. Colui che nulla vuole fare, che si appoggia alla sedia e guarda sorridendo il collega che lavora al posto suo. Il dipendente pubblico come oggetto di sfogo.

Gli italiani e il mondo del lavoro riescono a raccontare una varietà di “tipi” umani straordinaria. Gli svedesi, invece, sono noiosissimi.

Il convegno: una buona occasione sprecata nel conformismo

Perché Il convegno parte da un’idea straordinaria e la sviluppa nella maniera più banale possibile. C’è un grande progetto da inaugurare. Una società municipale ha espropriato degli appezzamenti di terra isolati per costruire un grande centro commerciale. A pagare a caro prezzo il progetto è stata una famiglia di contadini che ha visto sottrarsi in maniera fraudolenta il lavoro di una vita. Ignari di tutto ciò i dipendenti sono costretti dall’azienda a prepararsi al grande evento tramite un ritiro sui luoghi dove sorgerà il complesso. È l’occasione per un po'di team building. Privati dei cellulari si barcamenano in attività per rafforzare il loro rapporto. Al contrario, la tensione si accresce. Poco prima che arrivi un serial killer, la cui identità è nascosta da un’enorme maschera, a farli a pezzi, la corretta Lina discute con il collega Jonas. Qualcosa non va nei documenti, qualcuno ha manipolato le pratiche!

Di positivo c’è che Il convegno sembra un po’ una versione slasher di The Office, dove tutte le ritualità del lavoro sono ingigantite per creare imbarazzo. Fa ribrezzo la retorica delle inaugurazioni, così come sono ampiamente presi in giro quei colleghi che parlano solo di business (materia che noi abbiamo affidato al “Milanese imbruttito”). Ci sono poi i più anziani, portatori genuini di una passione e di una sincerità oramai scomparsa. C’è la figura della formatrice aziendale che parla solo con frasi fatte motivazionali. Non manca, ovviamente, la protagonista con la morale ferrea, la più giusta, ovviamente reduce da un burnout. 

Solo che i cattivi sono cattivi davvero, quasi quanto il serial killer. Non succede, come in Italia, in cui il "furbetto" viene ritratto con simpatia, come quello che ha trovato le sue scappatoie. Qui non c’è un secondo solo in cui si possa stare dalla parte di chi fa il furbetto con la burocrazia. Così come non c’è un secondo in cui si sta dalla parte dell’assassino. Tranne quando prova ad ammazzare proprio i dipendenti pubblici scorretti. È la catarsi in versione svedese. 

Il sogno di una versione in Italiana con più sfumature di slasher

Viene da pensare perciò che in Italia avremmo avuto molte più sfumature e un esito (tragi)comico assai maggiore. Il convegno procede infatti un scimmiottando alcuni elementi di Triangle of Sadness e del cinema di Ostlund (è veramente identico l’uso e la scelta delle musiche). Solo che l’effetto è quello di una satira gore fatta con “il ditino alzato” con fare severo e ammonitore. Una satira molto ordinata e con la morale. Come è possibile che qualcuno non sia corretto nel proprio lavoro? È giusta la rabbia verso chi truffa, ed è giusto deriderli e vederli morire male! Ma quella che c’è nel film non è una rabbia e una frustrazione sincera, è un po' predicatoria.

Il problema è che la regia di Patrik Eklund adatta il romanzo di Mats Strandberg in maniera molto pigra. Il film si trascina infatti nella prima parte, mentre nella seconda -quella della mattanza- ha poca inventiva e racconta poco attraverso le sue uccisioni. La satira c’è, l’umorismo anche, ma non si fondono mai in questa storia che opera su tre fronti. La prima, la più evidente, è quella della vendetta e della sopravvivenza. In qualche punto riesce anche ad essere impressionante, per quanto cartoonesca, come nella scena della sutura di una fronte squarciata come quella di Frankenstein. È grottesco per come fa reagire i personaggi al pericolo, come combattono in maniera vistosa e caricaturale, ma inventa veramente poco. L’unica l’immagine che riesce a graffiare veramente rimandando a un elemento satirico capace di colpire fuori dal film è quello di una dipendente appesa come bandiera. 

Bravi cittadini contro cittadini che fanno il proprio interesse

La seconda linea su cui va ad articolarsi la trama appartiene allo scontro tra bravi cittadini e pessimi cittadini. La dipendente integerrima vs il collega che spreca denaro in progetti sbagliati e corrotti. È questa la storia che preme di più al film, peccato che non si incontri mai veramente con quella dell’assassino né con la terza via che interessa al regista: la presa in giro delle ritualità lavorative. Non si ride mai veramente delle procedure e dell’organizzazione sociale delle aziende (“siamo tutti una famiglia”). Anche se ci vorrebbe arrivare, questo elemento, che poteva benissimo essere quello più perturbante, resta sempre marginale. 

Si finisce di vedere Il convegno e, da Italiani, viene voglia di prendere la stessa idea e applicarla a un paese che con la corruzione, con la burocrazia, con le inefficienze fa i conti da tempo. In fondo, chi più di noi ha bisogno di un po’ di sana catarsi? Prendere tutto ciò che odiamo, tutto ciò che non funziona e che non si riesce a correggerlo, renderlo personaggio e massacrarlo con grande godimento di fronte allo schermo (e lo scherno), potrebbe essere un modo veramente efficace per parlare di noi, ridere di noi e mostrare la nostra autodistruzione. Distruggere poi il brutto, farlo con umorismo, per provare a convincerci che le cose possano cambiare. È il potere dell’horror.

Il potere dei remake è invece dare una seconda vita alle belle idee. Proviamoci, se si può!

Seguiteci su TikTok!

Continua a leggere su BadTaste