Come Spelunky 2 migliora il suo predecessore | Speciale
Derek Yu torna con un sequel che sorpassa l'originale: ecco tutte le novità che rendono Spelunky 2 il nuovo re dei roguelike
Spelunky: l’Antico Testamento
Ora che, otto anni dopo, Spelunky 2 è uscito su PlayStation 4 (in attesa di arrivare anche su PC a fine settembre), possiamo tranquillamente affermare che Spelunky non era un’intera Bibbia, al massimo un antico testamento che il sequel espande, corregge, approfondisce e perfeziona.
Queste considerazioni riguardano però soprattutto quello che si chiama endgame, altrimenti noto come quella porzione di gioco che relativamente poche persone vedranno e ancora meno impareranno a conoscere come le proprie tasche. Non era necessario sviscerare Spelunky fino all’ultimo segreto per goderselo, e lo stesso discorso si può applicare al suo sequel: la forza di Spelunky è sempre stata quella di catturare fin dal primo livello grazie a un set di regole facilmente identificabili e che interagiscono tra di loro in modi spesso inaspettati, ma sempre prevedibili a posteriori; una run (o “partita” se preferite il termine old school) media di Spelunky dura poco e finisce male, e non perché il gioco abbia barato, ma perché le parti in movimento sono tante e tali che “”essere bravi a Spelunky” è più questione di capacità di gestire gli stimoli che di riflessi o talento.
Spelunky 2: il Nuovo Testamento
Tutto questo vale, amplificato, per Spelunky 2, un gioco che riesce nell’impresa di migliorare un predecessore perfetto non solo espandendo l’offerta (più aree, più oggetti, più segreti...) ma anche e soprattutto grazie a cambiamenti spesso minuscoli e quasi impercettibili al loop di gameplay e a una serie di soluzioni di game design che a posteriori ti portano a esclamare “perché non ci avevano pensato prima?”.
Le vecchie cose di una volta...
Potrà sembrare scontato visto che parliamo di un sequel, ma vale la pena ribadirlo visto che parliamo di Spelunky 2: il primo motivo per cui funziona così bene è che è costruito su fondamenta solidissime. Non solo in termini di struttura di gioco o di loop di gameplay, che sono rimasti sostanzialmente identici, ma soprattutto di quelle che sono le regole di base della grammatica spelunkyana.
In Spelunky, ogni blocco che costituisce il mondo di gioco è definito da una serie di proprietà pescate da un pool comune a tutti i blocchi, come potete leggere nel dettaglio in questo magnifico approfondimento/intervista a Derek Yu. Questo significa che ogni pezzo di mondo appartiene a una di due categorie (“oggetti” e “mostri”) e il suo comportamento, e la reazione al contatto con altri pezzi, è dettata da un numero limitato di caratteristiche. Un esempio. Olmec, il boss “finale” del gioco, non è un mostro ma un c.d. “push-block”, con le speciali caratteristiche di non poter essere spinto dal giocatore e di potersi muovere indipendentemente; ecco perché è impossibile ucciderlo in modo tradizionale, a differenza del fantasma che compare quando si passa troppo tempo in un livello: in teoria è immortale, in realtà è un mostro e quindi è definito anche dai suoi HP, che nel suo caso sono stati arbitrariamente settati a 9999 – il che significa che quando un giocatore per primo ha trovato il modo di danneggiarlo (spingendolo a volare nella lava) ha anche trovato il modo di ucciderlo, un modo al quale i programmatori stessi non avevano pensato.
È proprio questa festa di proprietà emergenti che derivano tutte da una manciata di variabili comuni a ogni pezzo del mondo di gioco che rendeva Spelunky speciale, e Yu l’ha replicata esattamente identica nel sequel, aggiungendo relativamente poche variabili ma molte combinazioni inedite. Un esempio è la nuova versione delle tiki trap che si trova nel primo bioma, Dwelling: funzionano (e si evitano) allo stesso modo, ma invece di impalare il giocatore e ucciderlo all’istante gli danno un grosso pugno in faccia, spingendolo lontano; in questo modo si rimuove dall’equazione la morte istantanea (che risulterebbe frustrante per chi ha appena cominciato), ma rimane la probabilità che le cose precipitino e finiscano in maniera catastrofica (che è quantomeno divertente).
Cominciare bene...
Come tutti i roguelike/lite di questo mondo, Spelunky soffriva della “sindrome del primo livello”: ricominciare da capo ogni volta significa che le prime aree vengono esperite una quantità di volte sproporzionata rispetto a quelle successive, e il rischio di stufarsi alla centesima run finita al secondo livello è alto. Spelunky la risolveva con le scorciatoie (ci torniamo) e trasformando i primi livelli in un’occasione per raccogliere risorse per indirizzare la run, un’operazione che non cominciava mai davvero prima del secondo blocco di aree: di conseguenza, le miniere del primo Spelunky sono il luogo dove la maggior parte della gente che ha abbandonato il gioco ha gettato la spugna, stufa di rivedere sempre gli stessi quattro livelli.
Anche Spelunky 2 inizia sempre allo stesso modo (al netto delle scorciatoie sulle quali, appunto, torneremo), ma sono aumentate a dismisura le cose che si possono fare nei primi quattro livelli, che sono anche, o quantomeno danno la sensazione di essere, mediamente più corti di quelli di Spelunky. Soprattutto, i primi quattro livelli sono in realtà tre + un miniboss, che tra l’altro si può affrontare in decine di modi diversi e si può sfruttare (nel senso di “exploitare”) per dare un’ulteriore spinta alla propria run; e il quarto di questi livelli non ha una, ma due uscite, che portano a due aree radicalmente diverse in termini di ambientazione e di, diciamo così, cose che ci si possono fare: una run che punta al mercato nero è una run molto diversa da una che punta al mega-trapano e al castello di Dracula, e già dal secondo livello del primo bioma si può lavorare per scegliere l’una o l’altra strada (per esempio: se si sceglie di andare a Volcana, avere tante corde è più utile di avere tante bombe, e viceversa per la giungla). Il risultato è che anche i primi livelli di Spelunky 2 hanno abbastanza profondità strategica da non diventare mai routine.
... e correre sempre
In Spelunky, “camminare” era la modalità di movimento standard di Guy Spelunky e la corsa si attivava tenendo premuto un tasto. In Spelunky 2, Ana Spelunky è settata su “correre”, e per farla camminare è necessario tenere premuto un tasto. La differenza è sottile ma fondamentale: la prudenza aiuta sempre in Spelunky, ma dopo ore con il gioco si impara a conoscerlo così bene che muoversi a passo di lumaca è un’inutile perdita di tempo, o una strategia da sfruttare ogni tanto in momenti ben precisi. In altre parole, Spelunky era comodo da giocare per le prime ore, quando si ha paura di ogni cosa e ci si muove con estrema attenzione, e diventava scomodo nel momento in cui si acquisiva abbastanza familiarità con il gioco da stufarsi di dover sempre tenere premuto un tasto per muoversi alla velocità migliore.
Spelunky 2, consapevole di essere il sequel di un gioco che ha venduto svariate centinaia di migliaia di copie, ribalta lo status quo, e associa, com’è più logico aspettarsi, il movimento prudente con la pressione di un tasto: Derek Yu sa che i giocatori di vecchia data vogliono solo correre fin dall’inizio, e che i nuovi arrivi finiranno anche loro per desiderarlo.
Le scorciatoie
Il posizionamento delle scorciatoie in Spelunky 2 è solo lievemente diverso da quello del suo predecessore, ma fa tutta la differenza del mondo. In Spelunky, ogni scorciatoia permetteva di saltare l’intera area precedente (o aree precedenti) cominciando una run in medias res: c’era una scorciatoia che portava direttamente al livello 2-1, una per il 3-1 e così via. In Spelunky 2, “livello 2-1” può significare due cose diverse (Volcana o la giungla), ergo per necessità la relativa scorciatoia è stata spostata al livello prima, l’1-4. Non è una differenza da poco: oltre a dare al giocatore la possibilità di scegliere ogni volta una strada diversa, gli permette anche, prima di proseguire, di esplorare almeno una porzione dell’ultimo livello del primo bioma, raccogliendo qualche soldo, magari un cane e nei casi più fortunati anche un’arma – il minimo indispensabile per arrivare alla seconda area non completamente impreparati, che era poi il grande problema delle scorciatoie nel primo Spelunky.
Intendiamoci, non stiamo dicendo che usare le scorciatoie è diventato il modo migliore per giocare a Spelunky: le run di maggior successo restano quelle che partono da zero, dall’1-1, e si costruiscono pian piano un arsenale di armi, strumenti e segreti vari. La scelta di anticipare la prima scorciatoia (e anche quelle successive, con altri effetti che non discuteremo qui perché si aggirano in territorio spoiler), però, aiuta ad allenarsi al meglio sul secondo bioma, che è quello dove statisticamente morivano la maggior parte delle run a Spelunky, una tradizione che Spelunky 2 è fiero di portare avanti.
La terza dimensione di Spelunky 2
D’accordo, non è una vera “terza dimensione”, ma ci serviva un titoletto a effetto. Il punto è che Spelunky 2 aggiunge davvero un’ulteriore dimensione all’esplorazione: in quasi ogni livello ci sono porte che portano, diciamo così, “dietro le quinte”, in questo modo qui. Notate un dettaglio che è un piccolo atto di pietà da parte di Yu: l’aggiunta di una manciata di frame di invulnerabilità quando si entra/esce da una porta, per evitare di venire colpiti senza possibilità di evitare il mostrillo in questione.
Rischi e ricompense
Spelunky è sempre stato un gioco di rischi e ricompense – persino gli oggetti universalmente riconosciuti come “quelli fortissimi che voglio in ogni run” tipo il fucile a pompa nascondevano insidie per chi non sapeva come usarli al meglio. Ancora una volta, Spelunky 2 prosegue nella gloriosa tradizione, arricchendola. Prendete per esempio gli animali, nel senso di bestie da monta, di creature alle quali si può salire in sella acquisendone i poteri in un modo che ricorda tantissimo il magnifico Little Nemo per NES: non basta saltare loro in groppa per poterli usare, bisogna addomesticarli, che significa semplicemente resistere un paio di secondi mentre questi corrono come pazzi in giro per lo schermo, incuranti della loro incolumità.
Il caso più clamoroso, però, è quella del vaso maledetto, un elemento presente in ogni livello che contiene una bella gemmona da 5.000 svanziche ma che libera anche, nel momento in cui viene distrutto, il succitato fantasma. Sembra uno scambio iniquo e una pessima idea, ma considerate (o ricordatevi che) il fantasma non è solo un pericolo mortale, ma anche un’occasione per fare soldi, visto che ogni gemma che sfiora si trasforma nella sua versione più preziosa – aspettare il fantasma per fare soldi era una tattica molto usata da chi giocava a Spelunky puntando allo high score, e in Spelunky 2 è stata istituzionalizzata e incarnata in un vaso, invece che in due minuti e mezzo di attesa. Certo, il nuovo fantasma può anche accelerare il suo movimento e persino dividersi in tanti fantasmini altrettanto rapidi...
Spelunky 2: più cose da fare, non tutte insieme
Il rischio dei rogueli*e, e soprattutto dei loro sequel e addende varie, è quello di diventare, per farla semplice, troppo pieni di roba, e diluire quindi la forza delle proprie meccaniche in mille rivoli non sempre interessanti – è una sindrome che per esempio ha colpito un altro dei sovrani del genere, The Binding of Isaac, che ora che è arrivato alla versione Afterbirth+ (quindi la quarta della sua storia, in attesa della quinta) è talmente ricolmo di oggetti e possibilità e combinazioni (parecchie delle quali inutili quando non attivamente dannose) che ogni traccia di pianificazione strategica è scomparsa e l’RNG regna sovrano come non aveva mai fatto prima.
Anche Spelunky 2 è stracolmo di novità dar far impallidire il primo capitolo, ma Derek Yu, coerentemente con il primo capitolo, ha fatto la scelta strategica di dividerle e distribuirle lungo diversi percorsi, così che in ogni singola run è possibile incontrare, e bisogna gestire, un numero finito di elementi di novità. Qualsiasi ulteriore considerazione finirebbe saldamente in territorio spoiler, ma mettiamola così: se scegliete la strada della giungla, una volta arrivati al bivio per il quarto bioma potete tranquillamente ignorare una delle due strade, e lo stesso vale, al contrario, se avete scelto la strada di Volcana. O anche: esistono diversi modi per arrivare al finale (il “vero” finale), ma in ogni singola run bisogna tenerne sotto controllo uno solo, e non si rischia mai di farsi distrarre da altri segreti che non portano da nessuna parte.
Lava e acqua
Il comportamento di lava e acqua, che agiscono in maniera dinamica e non statica come nel primo capitolo, è un’ulteriore novità che cambia radicalmente l’approccio a certe aree e apre la strada a un’enormità di strategie diverse. O almeno così sembra: come dicevamo, siamo ancora all’inizio di un lungo percorso, e a dirla tutta finora è soprattutto il comportamento della lava che spinge a elaborare soluzioni creative a problemi complessi – l’acqua, sempre per ora, ci sembra più che altro una graziosa decorazione con la quale è bello giocare a suon di bombe. Ma anche questo potrebbe cambiare (anzi, siamo certi che cambierà) con l’esperienza e con le ore giocate: se Roma non è stata costruita in un giorno, figuratevi quanto tempo ci vorrà per imparare a conoscere approfonditamente un sistema di caverne collocate sulla superficie della Luna.