Che fine ha fatto Time’s Up cinque anni dopo lo scandalo Weinstein?
Cinque anni dopo il Me Too il movimento Time's Up si ritrova in una lenta ricostruzione che sa però di fine definitiva del progetto
Sono passati cinque anni dallo scandalo Harvey Weinstein che iniziò il processo di svelamento degli abusi perpetrati dall’industria dell’intrattenimento. Un’ondata di denunce coraggiose, molte delle quali rimbalzate nelle pagine di cronaca, fatte da donne e uomini che hanno contribuito a minare un sistema consolidato di potere, molestie e violenze. In risposta nacquero due movimenti: il #MeToo e Time’s Up.
La differenza tra #MeToo e Time’s Up
Il movimento #MeToo, particolarmente legato all’hashtag che esplose nell’ottobre del 2017, esisteva già prima del caso Weinstein. Fu creato dall’attivista Tarana Burke. Il suo obiettivo è contrastare la violenza sessuale, creando al contempo una struttura che sia utile per i sopravvissuti. Soprattutto per coloro che hanno meno risorse e possibilità economiche per difendersi legalmente. L’aspetto comunitario è quindi preponderante. Si crea una rete che dia supporto e che dia voce alle vittime.
Time’s Up condivide gran parte delle spinte del Me Too. Mira a creare un cambiamento concreto nella cultura, eliminando gli abusi sul posto di lavoro e garantendo la sicurezza in equità. La sua origine avvenne direttamente in risposta allo scandalo del 2017. Iniziò con il supporto di 300 donne di Hollywood tra cui Reese Witherspoon, Natalie Portman e Shonda Rimes. Il movimento intendeva omaggiare il lavoro di Burke ed espanderlo. Il focus principale è stato il benessere sul posto di lavoro e in ambito professionale. Nelle sue lotte ha incluso anche temi come la parità salariale, l'inclusione delle persone nere e l'equa distribuzione del potere. La filosofia di base è che per risolvere il problema degli abusi si debba agire anche sulla gerarchia del potere.
Tra le attività più significative messe in atto c’è il Time’s Up Legal Defense Fund: una fonte di supporto legale e finanziario per supportare le cause. Grazie a una campagna GoFundMe sono riusciti a raccogliere in due mesi 21 milioni di dollari, che sono stati il principale bacino di denaro a cui hanno attinto.
Parliamo al passato di Time’s Up per un motivo ben preciso: da mesi non ci sono più tracce del movimento. L’Hollywood Reporter, in una puntuale inchiesta, ha ricostruito la storia e la crisi.
La crisi di Time’s Up
Per molte delle persone coinvolte nella vicenda, Time’s Up è stata la maggiore promessa mancata. Partito con un grande slancio si è impantanata in conflitti di interesse e scandali che ne hanno offuscato l’obiettivo. Non è mai riuscito ad andare oltre il glamour, partito l’incredibile supporto di tutte le star che ai Golden Globes del 2018 indossarono un abito nero con una spinetta raffigurante il logo. La realtà dei fatti è sata assai meno scintillante.
L’attivista Alison Turkos ha consegnato una lettera aperta, sottoscritta da 151 vittime ed ex membri dello staff che accusavano il movimento di aver cercato la prossimità al potere perdendo di vista la propria missione. Grazie alla visibilità e agli endorsement di peso, volevano infatti lavorare all’interno del meccanismo politico e di potere per condurre un cambiamento effettivo a livello legislativo.
Questa idea si scontrò con il conflitto di interesse e lo scandalo Andrew Cuomo. L’ex governatore di New York era stato accusato da 11 donne di molestie sessuali. In sua difesa aveva cercato di screditare la prima accusatrice, Lindsey Boylan. Tina Tchen, a capo dell’organizzazione, avevano scoraggiato gli attivisti a prendere la difesa della donna e Roberta Kaplan, co-fondatrice, rappresentava con il suo studio legale una stretta collaboratrice di Cuomo. I vertici di Time’s Up furono accusati di aver collaborato prendendo le parti dell’accusato. Dopo le dimissioni seguì un vuoto di potere che non si concretizzò in una ristrutturazione effettiva.
Ad oggi restano in carica tre membri del consiglio: Ashley Judd, l’avvocato Nina Shaw e il dirigente finanziario Gabrielle Sulzberger. Non è chiaro quanto del loro lavoro sia attualmente attivo. L’indirizzo di posta elettronica per la stampa restituisce da mesi lo stesso messaggio: “Time’s Up è in un processo di ricostruzione dell’organizzazione. Durante questa fase di transizione non rilasceremo dichiarazioni né interviste”.
I successi del movimento
I numerosi conflitti di interesse che sono emersi dopo i fatti, rendono improbabile un rapido ritorno effettivo dell’organizzazione. Va riconosciuto che, in un percorso così problematico, ci furono anche degli obiettivi raggiunti. Il fondo di difesa legale, supportato dai 21 milioni raccolti, ha aiutato più di 6.000 vittime offrendo avvocati. Ha pagato le spese legali per 330 casi e continua a prenderne di nuovi. Il fondo è un’istituzione separata dall’organizzazione, la mancanza di una dirigenza non impedisce quindi di continuare le sue attività.
Time’s Up ha contribuito a diffondere la sensibilità sul tema, coinvolgendo gran parte dello star system e portando visibilità. Ad oggi il movimento delle donne è molto più esteso della singola organizzazione, ha detto la compositrice Nomi Abadi, una sopravvissuta. Ha poi spiegato che sono tante le persone che ancora lavorano per prevenire le molestie sessuali e per continuare il percorso intrapreso cinque anni fa. Solo che, quando si presentano, nessuna donna menziona più Time’s Up.
Fonte: Hollywood Reporter