La battaglia di Mel Gibson: l'Oscar 2017 è la sua rinascita
La Battaglia di Hacksaw Ridge segna la redenzione di Mel Gibson, soprattutto agli occhi dell'Oscar, dopo i tanti errori del passato. Il figliol prodigo è tornato
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Tutti amano una bella storia di riscatto.
Nell'arte e nella vita.
La Battaglia di Hacksaw Ridge, film di guerra ispirato alla vera storia del soldato non violento Desmond Doss, è la resurrezione artistica, e probabilmente anche umana, di un cineasta non qualsiasi di nome Mel Gibson.
Lanciato come giovane divo, bellissimo e magnetico, da Interceptor (1979) di George Miller e poi nel dittico di Peter Weir Gli Anni Spezzati (1981) e Un Anno Vissuto Pericolosamente (1982), sappiamo quanto il nativo americano trasferitosi a vivere in Australia nel momento dell'adolescenza (12 anni) sia entrato nell'immaginario collettivo già nei primi '80 attraverso l'iconico Mad Max di Miller.
Mel Gibson non è stato un divo hollywoodiano qualsiasi e questa sua eccezionalità segna indelebilmente anche le reazioni che il mondo dello show biz della Mecca del Cinema ha avuto nei suoi confronti in questi ultimi 40 anni.
Dopo gli scatti stellari di fine '70 (ne Gli Anni Spezzati il buon Mel era letteralmente un corridore velocista) è diventato negli '80 una star enorme grazie soprattutto al franchise scritto dal garrulo Shane Black e diretto da Richard Donner Arma Letale (dal primo del 1987 al quarto del 1998). I '90 sono il trionfo assoluto. L'attore provato anche da Franco Zeffirelli nel ruolo di Amleto (1990), urla libertàààààààààààààààààààààààààà alla fine di Braveheart - Cuore Impavido (1995) realizzando, da protagonista e regista (secondo film dopo un primo in cui interpretava un "mostro" recluso), un film difficile da non notare e amare per via dell'esaltazione libertaria dell'istanza politica indipendentista nonché un modo di rappresentare la guerra corpo a corpo piuttosto verace per non dire truculento. È Miglior Film e Regia agli Oscar del 1996 e Hollywood, come avrebbe fatto con Damon e Affleck ragazzini premiati per la sceneggiatura di Will Hunting - Genio Ribelle, vuole comunicargli che sì, ce l'aveva fatta ad entrare nell'empireo della City of Stars compiendo il passaggio da attore a regista che avevano effettuato giganti come Charlie Chaplin, John Wayne, Mike Nichols, Warren Beatty e Kevin Costner.
Quello che è successo dopo... lo sapete.
Ultraconservatore, antifemminista (“Solo Dio può dirci quanti figli dobbiamo avere”; leggi: le donne non possono scegliere di abortire), cattolico aggressivo (“Non c'è salvezza per coloro che stanno fuori dalla Chiesa”; leggi: o sei cattolico oppure mi dispiace tanto per te) e fin dalla più tenera età accusato di essere omofobo, razzista e antisemita... Gibson fa esplodere il suo comportamento politicamente scorretto proprio dopo l'ennesimo trionfo.
Nel 2004 arriva l'incredibile successo commerciale della terza regia La Passione Di Cristo (612 milioni di dollari di incasso nel mondo a fronte di un budget di soli 30 milioni nonostante sia in aramaico con sottotitoli), film così divisivo nella rappresentazione degli ebrei e della sofferenza fisica di Gesù Cristo da spingere l'Oscar a cominciare a prendere garbatamente le distanze (3 nomination tecniche e zero vittorie) da quello che era stato cresciuto e coccolato come un figlio magari esuberante ma comunque commerciale, mainstream e universale.
Gibson invece è in una fase di grande tormento interiore ed estremismo esteriore ed ecco fioccare gli scandali principali: 1) nel 2006 si scaglia contro un poliziotto che l'ha fermato in stato di ebrezza mentre era al volante dell'automobile. Le sue frasi antisemite lanciate contro l'agente fanno il giro del mondo; 2) il 10 luglio 2010 minaccia al telefono la sua ex Oksana Grigorieva dicendole che se un giorno sarà violentata da: “un gruppo di negri”... se lo sarà meritato.
Hollywood dice basta. Lo ostracizza già nel 2006 quando Mad Mel realizza il bellissimo Apocalypto (3 nomination Oscar sempre più tecniche) e ha deciso di farsi crescere la barbona da monaco ortodosso.
Nessuno vuole più lavorare con lui tranne gli amici intimi di sempre Jodie Foster (una lesbica dichiarata ama Gibson; forse il ragazzo non è poi così linearmente e programmaticamente intollerante come pensiamo) e Robert Downey Junior (la star di Iron Man riconosce sé stesso nei tanti errori del collega).
Poi il miracolo. Poi la redenzione. Poi il ritorno a casa del figliol prodigo con il suo quinto film da regista.
La Battaglia di Hacksaw Ridge fa impazzire l'Academy (6 nomination tra cui Film, Regia e Attore Protagonista) perché è chiaro che Hollywood abbia letto, come noi, questo bellissimo film di guerra come il tentativo di Mad Mel di espiare le colpe del passato legate al proprio comportamento violento (figlio spesso dell'alcool) raccontando la storia epica di un personaggio che portò la non violenza dentro l'orrore della Seconda Guerra Mondiale. È questa vertiginosa contraddizione gibsoniana... che ha colpito Gibson.
Si sente, guardando il film, quanto il regista veda in Desmond Doss (un eccezionale Andrew Garfield lontano anni luce dalla fastidiosissima recitazione sfoggiata in Silence di Scorsese) un modello da ammirare, venerare e celebrare PROPRIO perché lui, Mel Gibson, ha dimostrato in passato di non riuscire ad essere come Desmond Doss.
L'Oscar ha percepito il travaglio, apprezzato il mea culpa e recuperato il rinnegato.
Tutti amano una bella storia di riscatto.
Soprattutto ad Hollywood.
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Nell'arte e nella vita.
La Battaglia di Hacksaw Ridge, film di guerra ispirato alla vera storia del soldato non violento Desmond Doss, è la resurrezione artistica, e probabilmente anche umana, di un cineasta non qualsiasi di nome Mel Gibson.
Lanciato come giovane divo, bellissimo e magnetico, da Interceptor (1979) di George Miller e poi nel dittico di Peter Weir Gli Anni Spezzati (1981) e Un Anno Vissuto Pericolosamente (1982), sappiamo quanto il nativo americano trasferitosi a vivere in Australia nel momento dell'adolescenza (12 anni) sia entrato nell'immaginario collettivo già nei primi '80 attraverso l'iconico Mad Max di Miller.
Mel Gibson non è stato un divo hollywoodiano qualsiasi e questa sua eccezionalità segna indelebilmente anche le reazioni che il mondo dello show biz della Mecca del Cinema ha avuto nei suoi confronti in questi ultimi 40 anni.
Dopo gli scatti stellari di fine '70 (ne Gli Anni Spezzati il buon Mel era letteralmente un corridore velocista) è diventato negli '80 una star enorme grazie soprattutto al franchise scritto dal garrulo Shane Black e diretto da Richard Donner Arma Letale (dal primo del 1987 al quarto del 1998). I '90 sono il trionfo assoluto. L'attore provato anche da Franco Zeffirelli nel ruolo di Amleto (1990), urla libertàààààààààààààààààààààààààà alla fine di Braveheart - Cuore Impavido (1995) realizzando, da protagonista e regista (secondo film dopo un primo in cui interpretava un "mostro" recluso), un film difficile da non notare e amare per via dell'esaltazione libertaria dell'istanza politica indipendentista nonché un modo di rappresentare la guerra corpo a corpo piuttosto verace per non dire truculento. È Miglior Film e Regia agli Oscar del 1996 e Hollywood, come avrebbe fatto con Damon e Affleck ragazzini premiati per la sceneggiatura di Will Hunting - Genio Ribelle, vuole comunicargli che sì, ce l'aveva fatta ad entrare nell'empireo della City of Stars compiendo il passaggio da attore a regista che avevano effettuato giganti come Charlie Chaplin, John Wayne, Mike Nichols, Warren Beatty e Kevin Costner.
Quello che è successo dopo... lo sapete.
Ultraconservatore, antifemminista (“Solo Dio può dirci quanti figli dobbiamo avere”; leggi: le donne non possono scegliere di abortire), cattolico aggressivo (“Non c'è salvezza per coloro che stanno fuori dalla Chiesa”; leggi: o sei cattolico oppure mi dispiace tanto per te) e fin dalla più tenera età accusato di essere omofobo, razzista e antisemita... Gibson fa esplodere il suo comportamento politicamente scorretto proprio dopo l'ennesimo trionfo.
Nel 2004 arriva l'incredibile successo commerciale della terza regia La Passione Di Cristo (612 milioni di dollari di incasso nel mondo a fronte di un budget di soli 30 milioni nonostante sia in aramaico con sottotitoli), film così divisivo nella rappresentazione degli ebrei e della sofferenza fisica di Gesù Cristo da spingere l'Oscar a cominciare a prendere garbatamente le distanze (3 nomination tecniche e zero vittorie) da quello che era stato cresciuto e coccolato come un figlio magari esuberante ma comunque commerciale, mainstream e universale.
Gibson invece è in una fase di grande tormento interiore ed estremismo esteriore ed ecco fioccare gli scandali principali: 1) nel 2006 si scaglia contro un poliziotto che l'ha fermato in stato di ebrezza mentre era al volante dell'automobile. Le sue frasi antisemite lanciate contro l'agente fanno il giro del mondo; 2) il 10 luglio 2010 minaccia al telefono la sua ex Oksana Grigorieva dicendole che se un giorno sarà violentata da: “un gruppo di negri”... se lo sarà meritato.
Hollywood dice basta. Lo ostracizza già nel 2006 quando Mad Mel realizza il bellissimo Apocalypto (3 nomination Oscar sempre più tecniche) e ha deciso di farsi crescere la barbona da monaco ortodosso.
Nessuno vuole più lavorare con lui tranne gli amici intimi di sempre Jodie Foster (una lesbica dichiarata ama Gibson; forse il ragazzo non è poi così linearmente e programmaticamente intollerante come pensiamo) e Robert Downey Junior (la star di Iron Man riconosce sé stesso nei tanti errori del collega).
Poi il miracolo. Poi la redenzione. Poi il ritorno a casa del figliol prodigo con il suo quinto film da regista.
La Battaglia di Hacksaw Ridge fa impazzire l'Academy (6 nomination tra cui Film, Regia e Attore Protagonista) perché è chiaro che Hollywood abbia letto, come noi, questo bellissimo film di guerra come il tentativo di Mad Mel di espiare le colpe del passato legate al proprio comportamento violento (figlio spesso dell'alcool) raccontando la storia epica di un personaggio che portò la non violenza dentro l'orrore della Seconda Guerra Mondiale. È questa vertiginosa contraddizione gibsoniana... che ha colpito Gibson.
Si sente, guardando il film, quanto il regista veda in Desmond Doss (un eccezionale Andrew Garfield lontano anni luce dalla fastidiosissima recitazione sfoggiata in Silence di Scorsese) un modello da ammirare, venerare e celebrare PROPRIO perché lui, Mel Gibson, ha dimostrato in passato di non riuscire ad essere come Desmond Doss.
L'Oscar ha percepito il travaglio, apprezzato il mea culpa e recuperato il rinnegato.
Tutti amano una bella storia di riscatto.
Soprattutto ad Hollywood.