Arnold Schwarzenegger sugli esordi a Hollywood: "Dovevo convincere i critici che i miei film erano buoni"

Ai tempi del primo Terminator, ricorda Arnold Schwarzenegger, i critici volevano solo discutere della violenza del film...

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Renditi utile. Sette regole per cambiare la tua vita” il libro di Arnold Schwarzenegger edito anche in Italia da Longanesi Editore è un vero e proprio scrigno del tesoro di aneddoti relativi alla carriera della leggendaria star e al come la sua filosofia di vita ed etica del lavoro lo abbiano aiutato a sfondare in tutti gli ambiti in cui ha voluto mettersi alla prova, dal culturismo al cinema passando per la politica.

In un passaggio del libro, che vi proponiamo a seguire grazie alla copia del libro che ci è stata fornita dall'editore, Arnold Schwarzenegger ricorda i suoi esordi a Hollywood di quando, dopo Conan, con Terminator doveva dimostrare sia al pubblico che ai critici di essere un valido attore.

Dovevo dimostrare a chi andava al cinema che ero un buon attore, e dovevo convincere i critici che i miei film erano dei buoni prodotti artistici.

Spiega Schwarzie che questa cosa è avvenuta per la prima volta ad alti livelli, in occasione dell'arrivo nelle sale del poc'anzi citato Terminator.

Tutto ciò di cui molti giornalisti volevano parlare era la violenza all'interno del film. Dopo tutti gli omicidi immaginari che avevo compiuto nei due film di Conan, si chiedevano perché per il mio ruolo successivo avessi voluto interpretare una macchina assassina. Oggi suona quasi antiquato, ma ricorderai che agli inizi degli anni Ottanta i critici cinematografici contavano davvero tanto. Critici come Gene Siskel, Roger Ebert, Pauline Kael, Rex Reed, Leonard Maltin: quella gente poteva affondare il tuo film con una
stroncatura.

Per questo aggiunge poi:

Durante le interviste promozionali per la prima di Terminator decisi deliberatamente che, quando mi avessero posto quelle domande sulla violenza, sarei entrato nel merito delle critiche. Chiesi a un giornalista se avesse letto la Bibbia e se si rendesse conto che, per numero di vittime, era uno dei libri più sanguinari mai scritti. Ricordai a un altro suo collega che il film era un'opera di fantascienza, che il mio personaggio era una macchina e rappresentava un monito al genere umano nei confronti della tecnologia. Spiegai che la sceneggiatura scritta da James Cameron era, per definizione, al cento per cento a favore dell'umanità. Ogni volta che ne ebbi l'opportunità, parlai della versione di Terminator che Jim aveva effettivamente raccontato, non di quella che tutti quei giornalisti improvvisati sembravano voler scrivere a ogni costo. Il risultato finale parla da solo: il film fu un successo al botteghino e ricevette in generale delle ottime recensioni.

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