Alien: Romulus - dobbiamo parlare di Andy

Con Alien: Romulus in sala abbiamo deciso di ragionare su una figura fondamentale del film, l'androide Andy (David Jonsson)...

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Spoiler Alert

Con Alien: Romulus in sala abbiamo deciso di ragionare su una figura fondamentale del film, l'androide Andy (David Jonsson) e il suo legame coi temi classici della saga... attenzione SPOILER!

C'è un personaggio in Alien: Romulus che fin da subito cattura la nostra attenzione. Si chiama Andy, interpretato dal bravo David Jonsson. È timido, introverso, ha un gusto tremendo per i dad jokes. Ed è un Sintetico, anche se lui citando il Bishop di Aliens (Lance Henriksen) dice di preferire il termine "persona artificiale". La citazione è significativa, perchè - mentre in apparenza si riconnette direttamente alla quadrilogia di Alien - in realtà finisce per mostrare come Fede Álvarez e Rodo Sayagues non capiscano davvero quei film, non abbastanza da prenderne sul serio i temi cardine.

Come abbiamo scritto nella nostra recensione, Andy è l'unico personaggio di Romulus ad avere un certo spessore. Nessun altro ha un conflitto interiore o una caratterizzazione che si spinga oltre pochi tratti e un obiettivo. Lui invece, forse perché conosciamo gli altri film, ci incuriosisce. Andy è l'"accompagnatore" di Rain (Cailee Spaeny), lasciatole da suo padre con un compito: fare sempre ciò che è meglio per lei. Quando gli amici di Rain la convincono ad abbordare il relitto di una nave abbandonata della Weyland-Yutani, tramite cui potrebbero sfuggire allo sfruttamento del loro pianeta minerario, la sua presenza diventa fondamentale: in quanto Sintetico della Compagnia infatti Andy ha le autorizzazioni per aprire le porte della nave e farli entrare.

A noi che abbiamo visto gli altri film però questo scatena subito un dubbio, dovuto al fatto che gli androidi dei film di Alien sono sempre stati ambigui nel loro posizionamento rispetto agli interessi della Compagnia. Andy rimarrà fedele alla sua missione verso Rain? Oppure qualcosa lo porterà a schierarsi con la Compagnia nel nome di "recuperare forma di vita, equipaggio sacrificabile"? Ash, l'androide del primo film, faceva proprio questo. L'inquietante Bishop in Aliens sovvertiva le aspettative costruite dall'episodio precedente provando che un Sintetico poteva essere uno dei Buoni (con mossa che Cameron avrebbe ripetuto identica in Terminator 2). Álvarez e Sayagues in Romulus tentano il contro-colpo di scena, partendo da un personaggio timido e apparentemente innocuo per arrivare a farne una minaccia.

Il problema su cui vogliamo soffermarci non è che il voltafaccia di Andy sia telefonato (lo è); ma che il modo in cui gli sceneggiatori decidono di arrivarci costituisca un grave tradimento poetico della saga, fra gli esempi di come Romulus - nonostante faccia di tutto per inserirsi nella continuity principale - in realtà le somigli solo superficialmente, fraintendendo ciò che la rendeva così potente sul piano emotivo e politico. La bestemmia sta nella scelta di non prendere sul serio quel "persona artificiale", eliminando l'ambiguità che rendeva tutti gli androidi di Alien dei veri e propri personaggi e facendo invece di Andy un "marchingegno", una macchina nel senso più meccanicistico e non-umanista del termine.

Ci sono due dettagli narrativi che ce lo fanno capire: innanzitutto (per la prima volta nella saga) si fa riferimento al fatto che i Sintetici ragionano "logicamente" in termini numerici: durante un incidente minerario uno di loro ha sacrificato senza problemi tre operai per salvarne dieci. È una di quelle classiche situazioni paradossali indecidibili, su cui ogni essere umano potrebbe dare la propria risposta solo al prezzo di enormi dubbi e rimorsi. Álvarez e Sayagues sottolineano così che i Sintetici non sono in alcun modo "umani", ma macchine programmate per reagire meccanicamente nel modo più logico.

Questo è confermato dal modo in cui gli sceneggiatori decidono di scrivere il cambio di fazione di Andy: per ottenere un'autorizzazione speciale i protagonisti sostituiscono il suo chip - altra invenzione inedita - con quello del Sintetico di bordo della nave (che ha per volto un orribile deepfake del grande Ian Holm/Ash). Appena Andy "installa" il nuovo aggiornamento il suo posizionamento cambia, perché insieme alle informazioni ha assorbito anche le direttive della Compagnia. Viceversa a farlo tornare dalla parte dei Buoni sarà una nuova sostituzione del chip con quello precedente programmato dal padre di Rain. La stessa Rain che (a ulteriore conferma del fatto che il film non considera Andy "umano") a un certo punto scopriamo che non avrebbe avuto problemi a disfarsi di lui appena arrivati nel nuovo sistema che non accetta i Sintetici della Compagnia.

Possono sembrare dettagli, invece tutto questo mette Romulus in contraddizione col resto della saga, sempre attenta (nonostante un'intermittente riferimento alle leggi della robotica) a qualificare i Sintetici come figure dotate di personalità e di un certo grado di decisionalità. È vero che il loro essere "artificiali" faceva paura (Alien esprime fra l'altro i timori di un'epoca che attraversa uno sviluppo tecnologico vertiginoso); ma spesso il male era negli occhi di chi guardava, come Ripley che in Aliens inizialmente non si fida di Bishop per il semplice fatto che è un Sintetico. Così la saga riusciva contemporaneamente a parlare anche di "altre" paure, relative a persone di cui per un motivo o per l'altro viene messa in discussione l'umanità:

Non per niente la saga di Alien è stata pioniera di femminismo, discorsi razziali e sulla fluidità sessuale/di genere (pensiamo all'estetica androgina dello xenomorfo, della stessa Ripley, alle mutazioni biologiche che pervadono continuamente la quadrilogia). Nello stesso solco di Blade Runner o del cinema di Cronenberg gli Alien esplorano il confine tra ciò che è umano e ciò che non lo è, proponendo un'estetica "biomeccanica" che racconta un'umanità che si fonde sempre di più coi propri ritrovati tecnologici. Gli androidi siamo noi, tanto quanto i personaggi umani, e tutti i film della Quadrilogia sono attenti a rappresentarli come figure a tutto tondo: Ash in Alien è sì freddo e razionale, ma la sua razionalità è quella di un ufficiale scientifico (quella scienza che a volte può sfuggire di mano), non - come dirà Burke nel film dopo - quella di una macchina che ha "malfunzionato".

Ash era la risposta ad Hal 9000 di 2001: Odissea nello Spazio, un robot che diventava senziente sviluppando una personalità indipendente dalle direttive umane, e che (suscitando molta più empatia dei cosmonauti) si ribellava. Non a caso per ben due volte il personaggio esprime emozioni inequivocabilmente umane: quando dice che ammira la purezza del mostro, e verso la fine quando chiosa beffardamente "avete la mia solidarietà". E la sua scelta di recuperare l'alieno al costo di sei vite umane era appunto questo, una scelta, l'esecuzione volontaria di un protocollo spietato.

Qualcosa di simile vale per Bishop, che a sua volta non era solo "progettato per non nuocere": era un uomo (artificiale) buono, capace di disobbedire e dotato di un profondo rispetto per la vita; quanto è commovente quella simbologia di lui smembrato che stringe fra le braccia la bambina Newt, trasferendo anche su di sé quella genitorialità che Ripley ha assunto nei suoi confronti (padre putativo, come il Terminator di T2). C'è poi la Call di Alien - la clonazione (Winona Rider), eroina tragica alla Blade Runner in un mondo dove non sembra esserci nessuno di completamente umano: una protagonista clonata, un comprimario fuso a una sedia meccanica, un altro con pistole d'acciaio saldate alle mani ecc. Per arrivare al David 8 di Prometheus (Michael Fassbender) che addirittura si rivedeva nell'umanissimo, masochista, sfaccettato antieroe interpretato da Peter O'Toole in Lawrence d'Arabia.

In contrasto con tutto ciò, Andy non è mai una persona ma precisamente una macchina. Il suo carattere servile è interamente riconducibile al suo programma, e così il suo attaccamento nei confronti di Rain. Tanto è che basta "girargli una vite nel cervello" per trasformarlo nell'esatto contrario. Com'è possibile provare per questo personaggio più trasporto di quello che si prova per un elettrodomestico? Com'è possibile costruire su di lui una poetica umanista coerente col resto della saga? Non è possibile, e infatti Álvarez e Sayagues non ci provano neanche. L'idea che i Sintetici degli altri film fossero qualcosa di più che metafore spaventose del progresso tecnologico o simpatici strumenti non li sfiora, e infatti costruiscono il loro personaggio giocando alternativamente su queste due idee.

Ma anche al di là dei confronti (i tradimenti d'altronde sono sempre leciti) non è una buona idea scrivere il tuo solo personaggio carismatico come una macchinetta che può essere smontata e rimontata a piacimento senza una vera personalità, perché va a inficiare quello che è il principale (l'unico) arco narrativo del film. Se qualcuno si è commosso davvero per la riconciliazione finale forse un bel test Voight-Kampff serve a loro.. 

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