Alan Moore, Electricomics e la sfida di una nuova estetica narrativa

Moore parla di Electricomics e pone un quesito: a cosa serve il fumetto digitale e, quando sarà un medium maturo, avrà senso chiamarlo ancora fumetto?

Alpinista, insegnante di Lettere, appassionato di quasi ogni forma di narrazione. Legge e mangia di tutto. Bravissimo a fare il risotto. Fa il pesto col mortaio, ora.


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Vi abbiamo già parlato di Electricomics, il progetto di Alan Moore e figli, l'applicazione di fumetto digitale che ha debuttato circa un mese fa su iTunes, coinvolgendo nomi come Garth Ennis, Colleen Doran e Peter Hogan alla ricerca di un modo nuovo di raccontare storie per immagini sequenziali. Il maestro britannico del fumetto è stato intervistato da Wired.uk sull'argomento. Volentieri gli cediamo la parola per capire di più sulla natura di questa particolarissima iniziativa.

L'idea fondativa di Electricomics nasce dal periodo in cui stavamo mettendo in ordine le idee per un progetto cinematografico su cui sto attualmente lavorando. Mi sono accorto allora che, quando scrivi un film, ormai, non stai mai soltanto girando un lungometraggio e che la gente si aspetta che tu realizzi un prodotto che trovi collocazione su più media. Cosa che trovo detestabile.

Una soluzione potrebbe essere diventare più creativi riguardo a questo concetto. Invece di, ad esempio, lasciare che qualcuno tragga un pessimo videogame basato sulla tua storia, si potrebbe realizzarne uno che sia giocato dai protagonisti del film. L'idea era, insomma, creare qualcosa all'interno del mondo immaginario e vedere se avrebbe avuto la forza di uscire in quello reale.

Abbiamo immaginato la scena di un personaggio che cammina attraverso un parcheggio di un ospedale e vede un gruppo di ragazzi leggere un fumetto su un macchinario fantomatico di nome Spindle. Sarebbe stata una strip che avrebbe utilizzato tutte le forme e le nuove tecniche che il digitale ha portato nel mondo dei comics.

[caption id="attachment_81385" align="alignright" width="225"]Last Day in Vietnam Last Day in Vietnam, di Will Eisner[/caption]

Soprattutto, con questo format, volevamo mostrare le possibilità del nuovo medium, non solo aggiungere particolari inutili. Ho sempre pensato che la prima cosa che la gente avrebbe fatto applicando la tecnologia digitale ai fumetti sarebbe stata inserire effetti in tavole che non ne avevano alcun bisogno.

Prendiamo Spirit, di Will Eisner. C'è una scena notturna he mostra una casa vuota, di notte, in cui c'è un rubinetto gocciolante. La tentazione, ovviamente, sarebbe di fare in modo che le gocce siano animate e di aggiungervi l'effetto sonoro corrispondente. Ma Eisner, attraverso il linguaggio del fumetto, fa qualcosa di molto più elegante, mostrando il rubinetto con una singola goccia allungata, il che rende chiaro che sta per cadere. E tutti sappiamo che suono produrrà.

Non serve per rifare in maniera tecnologicamente più avanzata quel che già ci viene detto che dovremmo usare in questo nuovo medium. Dobbiamo capire a che livello e in quale maniera esso ci permetta di raccontare in maniera innovativa e quali tecniche narrative inedite ci mette a disposizione.

Non sono sicuro che quel che faremo possa ancora definirsi fumetto. Anche dopo un paio d'anni di lavoro su questo prodotto non ho capito se appartiene a un sottogruppo del fumetto o se sia qualcosa di totalmente nuovo. Credo che deciderò tra un altro paio d'anni, quando forse sarà più chiaro in cosa questo medium è diverso dai comics tradizionali.

Moore cita Winsor McCay come l'ispirazione fondamentale del progetto Electricomics e il principale pioniere della storia del fumetto, inventore di gran parte delle tecniche del linguaggio fumettistico e dei cartoni animati con il film muto Gertie The Dinosaur.

[caption id="attachment_81384" align="alignleft" width="232"]Little Nemo, letto che cammina Little Nemo in Sluberland, di Winsor McCay[/caption]

McCay comprendeva le dinamiche della pagina a fumetti. Il modo in cui il tuo sguardo si muoveva attraverso i suoi paesaggi, il modo in cui usava le tavole per mostrati qualcosa che diventava più grande o più piccolo, il modo in cui aveva perfezionato tutte le sue splendide tecniche, mai eguagliate dal fumetto sperimentale negli ultimi trent'anni e men che meno superate!

Anche Eisner era un genio, ovviamente, ma molto differente. Eisner usava le sue vignette esplose, ad esempio, in cui sono presenti splendidi paesaggi, ma la pagina stessa risponde a una struttura visiva più ampia, che inserisce le singole immagini in quella che lui chiamava Meta-vignetta. L'intera pagina diventava così una vignetta dal punto di vista funzionale, in cui le vere e proprie vignette erano inserite. Una splendida composizione da vedere sulla pagina stampata, ma che non sarebbe affatto adatta al nuovo medium.

McCay, avrebbe invece utilizzato vignette di forma regolare, che rendono più facile la narrazione con questo medium, rispetto alle irregolari di Eisner. Ovvio che, per il fumetto tradizionale, la soluzione eisneriana era spettacolare, ma McCay mi è più utile come riferimento, perché il suo fumetto è imperniato sull'idea di movimento.

Non stupisce, quindi, che il progetto che di cui Moore sarà autore all'interno di Electricomics si chiami Big Nemo, diretto omaggio al Little Nemo di Winsor McCay. Una storia in cui Nemo non è più un bambino negli anni Venti, ma un ragazzo della classe media negli anni Trenta, in piena Depressione, un'epoca in cui i meravigliosi sogni del personaggio sarebbero stati difficili da partorire per McCay.

Collega disegnatrice di Alan Moore per questa strip è Colleen Doran, artista che i lettori di una certa età forse ricorderanno per A Distant Soil, da molti considerato un capolavoro del fumetto anni Ottanta.

[caption id="attachment_81382" align="alignright" width="191"]Electricomics, illustrazione di Colleen Doran Electricomics, illustrazione di Colleen Doran[/caption]

Mi è stata consigliata da José Villarrubia. Il lavoro che ha svolto è splendido e faticosissimo. Io sperimentavo senza coscienza di quanto difficile fosse realizzare quello che avevo in mente. Colleen ha affrontato delle sfide complicatissime.

Il mio approccio alla sceneggiatura è cambiato parecchio nel corso degli anni. Mi sono reso conto che scrivere tre pagine per ogni tavola a fumetti era una vitaccia e ho deciso di osservare come lavoravano colleghi più giovani, come Garth Ennis. In una lettera indirizzata a me, Garth cita una frase da una sua sceneggiatura: era una bella frase e pensavo fosse una battuta di un personaggio. Invece era la descrizione di una tavola intera, in una sola riga.

Mi sarebbe piaciuto pensare che questo fosse un segno della pigrizia delle nuove generazioni, ma la verità è che lì dentro c'erano tutte le informazioni necessarie. Ho deciso che quell'asciuttezza sarebbe stata il mio obiettivo e da allora ho snellito le mie descrizioni. Mi ci vuole lo stesso tempo di allora per pensarle, ma non per digitarle, ed ora sono giunto a una pagina di sceneggiatura per ogni tavola a fumetti, più o meno.

Non credo invece che Electricomics abbia cambiato il mio modo di scrivere, anche perché, come ho detto, non sono sicuro che questo sia un fumetto. Questa tecnologia è nuova e ci offre la possibilità di compiere orribili errori come di raggiungere eterni trionfi. Le ci vuole un po' di tempo per evolversi, non moltissimo a giudicare dalla velocità con cui si muove il mondo oggigiorno. Forse una decade, prima di capire e decidere.

Il fatto è che non ha senso ripetere quel che abbiamo già fatto. Abbiamo bisogno di una nuova estetica che sia appropriata alle nuove possibilità a disposizione. Ecco la principale sfida di Electricomics: stiamo facendo i primissimi, incerti passi verso questo obiettivo.

Sway, Electricomics

Fonte: Wired.uk

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