Addio a Pantera Nera: Ta-Nehisi Coates sul rapporto tra T'Challa e Tempesta
Black Panther #25 mette fine alla storica run di Ta-Nehisi Coates sulla serie e l'autore riflette sui molti temi delle sue storie
Alpinista, insegnante di Lettere, appassionato di quasi ogni forma di narrazione. Legge e mangia di tutto. Bravissimo a fare il risotto. Fa il pesto col mortaio, ora.
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Coates - Il finale della mia storia è veramente emozionante, per me, come il fatto stesso di arrivare alla fine. Tutti vogliono che il proprio lavoro sia apprezzato dal pubblico, ma devo dirvi che aver affrontato la reazione della gente ai miei libri e immaginando quella che mi attende per Superman, non esiste un mondo in cui si ha il privilegio di fare qualcosa di importante e, contemporaneamente, non si debba fare i conti con una serie di critiche che non si condividono.
Semplicemente, non esiste. Nessuno può essere amato da tutti. Ho scritto questa storia e mi sono divertito un mondo nel farlo. E ho anche imparato tanto nel processo.
Cosa vorrei aver fatto diversamente nel primo numero di Black Panther? Non lo so. Se volete posso dirvi cosa non va. Ci sono probabilmente troppi personaggi e troppi eventi. Esito a dirlo, però, perché se non avessi scritto quell'albo in quel modo, probabilmente non sarei migliorato poi, non avrei imparato così tanto. Fa ridere, perché ho da poco in mano la copia con i testi dell'ultimo numero e, onestamente, ci sono dentro tante se non più persone che nel primo.
Credo che molti vorrebbero che T'Challa fosse sempre alla testa dell'opposizione, che non fosse mai realmente in pericolo. Diamine, ho scoperto con il tempo che i lettori vivono realmente in maniera viscerale i personaggi dei fumetti, soprattutto quelli che si portano dietro una certa eredità. Quando ero ragazzo, non era questa la mia relazione con le storie. C'erano personaggi che amavo molto, ma il mio attaccamento era diverso.
Dopo che ho avuto l'incarico su Black Panther, sono andato a leggermi un po' di vecchi albi e ho riscoperto di essere interessato soprattutto a T'Challa perché era un uomo parte di una famiglia reale che non avrebbe voluto essere re. Questa era la sua caratteristica. Aveva uno spirito avventuroso, aveva viaggiato, era sempre lontano da Wakanda. Al college, con gli Avengers, in esplorazione... anche se era nato in uno dei paesi più avanzati al mondo, era sempre via. Ma il dovere lo richiamava a casa. E questo conflitto è stato centrale in tutta la mia run.
Non credo che, rispetto alle sue responsabilità, sia nella stessa posizione emotiva. E probabilmente il significato di Tempesta nella storia c'entra molto. Sotto molti aspetti, lei lo sta aiutando ad affrontare la cosa, perché credo abbia un'idea molto precisa del conflitto che deriva da un'identità doppia.
Nasci e, quando sei ancora giovane, la gente crede tu sia una dea. Sei una mutante e hai la responsabilità di rappresentare una squadra per una nazione intera. Tempesta cerca da sempre un'equilibrio tra queste cose. E questo lo dico anche se non ero un fan della sua relazione con Pantera Nera. Non importa.
La relazione esiste e io ho avuto il compito di gestirla. Mi sono chiesto sin da subito come. Credo che, ovviamente, un sacco di gente sia appassionata del rapporto tra questi due personaggi e sarebbe molto contenta di vederli insieme per un po'. Chissà che ne sarà di loro, in futuro! Ma non è per questo che li ho raccontati come ho fatto. Il punto è che T'Challa aveva bisogno di qualcuno che gli desse una mano ad affrontare certe questioni, per arrivare in fondo alla propria storia.
Fonte: Polygon