Cosa la 71esima Mostra del Cinema di Venezia ci ha insegnato sul cinema italiano

Ben 5 film italiani centrati sul crimine e 3 film che hanno a che vedere con la internet culture (la metà di questi documentari) non lasciano dubbi sulla direzione che ha preso il nostro cinema

Critico e giornalista cinematografico


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Non capita spesso di tornare dalla Mostra di Venezia consci di aver capito qualcosa di più sul momento creativo che il cinema sta vivendo, dovrebbe essere una delle missioni principali di un festival ma non sempre ci riesce, non sempre è chiaro, non sempre è evidente. Invece quest’anno se qualcosa possiamo dire del cinema italiano è che ha mostrato in maniera inequivocabile che periodo stia vivendo e quali mutamenti stia attraversando.

Con ben 5 film che girano intorno al crimine e 3 film che hanno a che vedere con la cultura di internet (di questi 8 la metà sono documentari!) è abbastanza evidente quali spinte animano i vari livelli della nostra produzione.
Da una parte il cinema più alto (autori affermati, attori di richiamo, produzioni grosse) investe con decisione sul terreno del crimine per interpretare e raccontare il paese, dall’altra il cinema più arrembante comincia non solo a sfruttare la rete ma anche a veicolarne le idee.

Negli ultimi 10 anni è fiorito il racconto d’epoca attraverso la criminalità (da Romanzo Criminale, passando per La prima linea, Piazza delle cinque lune, Vallanzasca e via dicendo) ma sempre di più adesso questo paradigma si sta espandendo anche al più interessante racconto della contemporaneità.
Senza nessuna pietà è un noir molto classico (a metà tra la ricerca di una vita migliore di Carlito’s Way e il canto d’amicizia del polar), centrato su un uomo sperduto in un mondo che va perdendo i valori con cui è cresciuto e che decide di distruggere; Perez. è un film sulla ricerca di legalità in un mare di illegalità; Anime nere invece mostra le dinamiche familiari nel più neri dei contesti, in luoghi in cui la legge come la intende lo stato non esiste ma è sostituita da altre regole. Il primo film era nella sezione Orizzonti, i secondi due in Concorso. Dall’altra parte Fuori concorso e in Orizzonti c’erano anche La trattativa, che ricostruisce l’ipotesi della trattativa stato-mafia, e Belluscone che invece (semplifichiamo qualcosa di più complesso) mostra il vero humus in cui fiorisce la mentalità mafiosa.

Produttivamente è facile capire come il successo di serie tv come Gomorra e prima ancora Romanzo Criminale abbiano contribuito a creare un terreno più facile per il finanziamento di progetti simili, dall’altra è anche evidente che la legge, il retaggio criminale e il rapporto con l’illegale sia un bandolo centrale non solo nella maniera in cui ci vediamo ma anche in quella cerchiamo di capire qualcosa di più su noi stessi. Leggere il proprio paese e i propri simili attraverso il diverso rapporto che ognuno intavola con l’etica criminale: aderirci, combatterla, evolverla, rimanere legato alle sue radici, disprezzarla, abbracciarla, preferirla allo stato, usarla per emergere, usarla per fare del bene ai propri cari.

Dall’altra parte Italy in a Day, Arance e Martello e Io sto con la sposa (Fuori concorso, Settimana della critica e Orizzonti) sono stati tre esempi di film che in una maniera o nell’altra sono stati creati dalla internet culture, ovvero da quel misto di possibilità economiche, cultura della condivisione e crowdsourcing che stanno alla base di molte delle innovazioni della rete e molto di ciò che lì si produce (sia o meno audiovisivo).
Il primo è la versione italiana di Life in a day, un film-documentario che aggrega video inviati dagli utenti (UGC) girati nella medesima giornata per essere montato come un serpentone che fotografi l’oggi, il secondo è il primo film di Zoro (il primo e più noto vlogger italiano, una persona che non si sarebbe mai occupata di audiovisivo non fosse stato per internet) e il terzo è un esperimento di crowdsourcing.
Già in passato sono stati condotti esperimenti di questo tipo tra cinema e rete ma che il Festival di Venezia ne abbia ospitati 3 (uno dei quali prodotto da Rai Cinema e diretto da un premio Oscar) è sbalorditivo e significa che questo tipo di mentalità sta iniziando a penetrare tutti i livelli di produzione cinematografica.

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