40 anni di Risky Business e il “ma che ca…!” a chi ha permesso al regista Paul Brickman di sparire
40 anni di Risky Business, del suo impatto sul racconto dei giovani, su Tom Cruise e sul suo regista che è scappato da Hollywood
Per citare Miles Dalby “qualche volta nella vita è utile saper dire : ‘ma che ca…’!”. E quindi “ma che ca…!” a Paul Brickman, il regista disperso di Risky Business. Oppure “ma che ca…!” a chi se ne era accorto e non è mai andato a cercarlo.
Sono 40 anni che Tom Cruise ha ballato in camicia e mutande nel soggiorno della casa libera. “Fuori i vecchi… i figli ballano!” Dice il sottotitolo italiano. In realtà fuori i vecchi… i figli cercano di godersi la vita e fanno disastri. Cercano di rimediare agli errori facendone altri. Risolvono tutto assecondando quel loro filamento di DNA da bianchi, etero, di buona famiglia americana, che li ha programmati con il senso degli affari. Usano il sesso come leva di potere, si dimenticano di fare un compito scolastico per simulare il lancio di un’impresa. In compenso lo fanno davvero. La startup la fanno acquistando letti e assumendo le amiche di Lana, una lavoratrice del sesso di cui Joel (Tom Cruise) è innamorato.
Nel finale del regista, poi scartato al montaggio, tutto si chiude nella cena al ristorante in cui speculano sul loro futuro. In una notte hanno guadagnato quanto alcune persone fanno in una vita intera. Il loro futuro è ormai condannato a un grigio conformismo dei ricchi padri che hanno avuto e insegnato il successo? Cosa resta dell’autenticità della loro relazione?
Ricky Business è prima di tutto un gran film
Una grande scrittura per una regia ancora migliore, con i Tangerine Dream alla colonna sonora per creare un ambiente notturno e frenetico. Risky Business fu una ribellione verso i college movie più demenziali (Porky’s). Una inversione a U che mantiene l’elemento pruriginoso, ma lo fa ambire a raccontare qualcosa di più.
Tom Cruise non fu più lo stesso. Da giovane attore diventò una star. Il genere non fu più lo stesso: si provò a far cinema vero con il racconto delle età. Ci furono John Hughes, Howard Deutch, Cameron Crowe e il brat pack. In questo elenco non entrò Paul Brickman. Quell’esordiente che aveva scritto un paio di sceneggiature (tra cui Chroma Angel chiama Mandrake), ma che, alla sua prima regia, vedeva il suo film chiamato come il nuovo Il Laureato. Aveva incassato 63 milioni di dollari con Risky Business a fronte di un costo di 6 milioni. Con quei soldi e quel potere ha fatto un altro film nel 1990, Gli uomini della mia vita, che è andato male. Poi basta. Qualche sceneggiatura qua e là: Fino a prova contraria di Clint Eastwood e la miniserie TV La rivolta nel 2001.
Forse per quel finale cambiato a forza, forse per la fatica di collaborare con il sistema degli studio, dopo Risky Business il regista andò nell’ombra, per rinchiudersi in un anonimato monastico. Nessuno è riuscito a fargli cambiare idea.
Chi ha visto Paul Brickman?
È riapparso una decina di anni fa, grazie all’insistenza di un giornalista del sito Salon, ossessionato dalla nostra stessa domanda. Lo descrive come un eremita nel suo ufficio di Santa Barbara, un po’ infastidito dall’essere stato trovato.
Risky Business fu ispirato da Il conformista di Bertolucci, dice. Hollywood subito lo vide come una gallina dalle uova d’oro. Così all’improvviso fu sommerso da sceneggiature di ogni tipo e da un’attenzione mediatica con cui non era a proprio agio. Due, tra molti, i rifiuti eccellenti. Uno fu di dirigere Rain Man, che avrebbe rappresentato un nuovo incontro tra il regista e Tom Cruise. Chissà con che esiti (se volete leggere la storia di una delle collaborazioni più riuscite leggete qui di Christopher McQuarrie).
L’altra sceneggiatura rifiutata si chiamava Forrest Gump.
Paul Brickman sa di aver buttato via una grande carriera, bruciandosi nell’inattività il successo di Risky Business. Questo tipo di affari, però, non facevano per lui. Dice che il problema fu la fama, il non essere tagliato per questo tipo di esposizione. Dopo il boom al box office si premurò di salvare i risparmi e la sua privacy fuggendo da Los Angeles. Nell’intervista si legge però anche lo sfinimento di un autore che nasce sceneggiatore, ma che ha dovuto lottare affinché il suo lavoro rimanesse intatto dall’inizio della produzione al final cut.
Mandare a quel paese il sistema
“Ma che c…!” ha detto forse Brickman prima di rinunciare alla sua posizione in cima al sistema. È bello immaginarlo così: come il suo personaggio, solo che al contrario. Joel Goodson manca totalmente della capacità di prendersi cura di se stesso, ma ha il senso degli affari e li insegue, spinto dalla necessità. Non è un caso che l’uomo che racconta questa storia abbia fatto proprio il contrario.
Una filmografia così esile con un film così importante. Perché Risky Business funziona benissimo su tutti i livelli. Ha una messa in scena rigorosa che permette ad alcune scene di diventare cult (il ballo) e altre semplicemente bellissime (la scena di sesso in metropolitana ascoltando In The Air Tonight). È un’epica delle cose quotidiane, del saper vivere e diventare grandi, che ispirerà tanto cinema a venire. La prima parte della carriera di Tom Cruise girerà intorno a questa idea.
Risky Business fu 40 anni fa, appunto, un rischio non calcolato. Nasceva dalla voglia di raccontare i giovani diversamente, finì per cambiare la vita di due persone: il suo ideatore e il suo volto in locandina. Cruise andò dentro il finale arrivato in sala, quello che lo mostra camminare verso l’orizzonte della città, con il successo di chi è diventato sicuro di se. Il regista seguì il finale scartato nel montaggio. Quello in cui i due protagonisti sono al ristorante, percepiscono che difficilmente la vita gli concederà più di quello che gli ha dato in quelle folli ore. Così stanno fermi, guardando il mare dall’alto.