Viaggio in Paradiso, la recensione
Ormai Mel Gibson centellina le sue apparizioni, limita i film a cui prende parte ad uno l'anno e ancor più raramente li scrive in prima persona. Un vero peccato...
Si contano sulla punta delle dita i film in cui Mel Gibson si è avventurato anche sul piano della sceneggiatura. Abituato a non immischiarsi nella scrittura anche quando i lungometraggi sono diretti e immaginati da lui stesso (l'ha fatto solo per Apocalypto e La passione di Cristo), il buon Mel è invece sceneggiatore molto asciutto e concreto, dotato di una visione del mondo e di un modo di fare e concepire il cinema molto chiari.
Viaggio in Paradiso in questo senso è un film che riflette bene l'idea gibsoniana del cinema d'intrattenimento.
Incastrato dalla polizia alla frontiera con il Messico dopo una rapina da diversi milioni di dollari, sbattuto in una prigione messicana che sembra una città autogestita e intenzionato a riprendersi i milioni che la polizia corrotta si è intascata, il protagonista di Viaggio in Paradiso (titolo ingannevole, quello originale è più gibsoniano, evocativo e spiega bene il tono "uno contro tutti" del film: Get The Gringo) è un outsider per definizione, solo contro tutti, lontano dal suo paese e malvoluto dai locali, per questo istintivamente simpatico.