La Verità Negata, la recensione
Nascosta tra le pieghe della battaglia contro il negazionismo, La Verità Negata, mette in scena in realtà la dialettica tra l'irruenza e un lavoro ben fatto
È la storia del processo al negazionista David Irving avvenuto nel 1996, una delle tappe più importanti nella lotta al negazionismo dell’olocausto. Tra le pieghe della battaglia legale questo film scritto da David Hare cerca un quieto elogio della temperanza, del lavoro ben fatto e dell’etica inglese contrapposta all’irruenza americana. Paradossalmente lo stesso Irving, che dal film di certo non esce bene, è ammirato nella sua metodica precisione, nella sua compostezza e nel fatto di essere una persona brava in quello che fa. Timothy Spall modera i suoi toni arcigni e in accordo al resto del cast lavora sui piccoli toni e sulla prestazione globale invece che sulle scene madre.
Per fortuna La Verità Negata pure non ha fretta e farsi strada scena dopo scena. Anche perché non solo il film arriva là dove i soliti film ambientati in campi di concentramento non riescono nemmeno a sognare di arrivare, ma in più si chiede onestamente come si possa provare che l’Olocausto è davvero avvenuto, a patto di non voler credere ai testimoni. Si chiede cosa sia più importante, se la possibilità di infiammare l’opinione comune (con o contro una tesi) o un lungo e metodico lavoro che arrivi alla più indissolubile e certa delle sentenze. Cioè mettere un segno nella storia o incidere nella maniera più plateale sul presente? E quanto in tutto questo processo contano le vittime sopravvissute? Quanto la questione riguarda loro e quanto tutti gli altri?