[TSFF 2016] Approaching The Unknown, la recensione
Asciugato eccessivamente, Approaching The Unknown non si interroga solo sul rapporto tra uomo e ignoto ma cerca una nuova forma trovando solo noia
È la storia di uno scienziato, talmente determinato ad andare su Marte per allontanarsi dalla Terra da aver elaborato un sistema di sua invenzione che trasforma la terra in acqua, così non da non avere problemi a vivere sul pianeta Rosso. A differenza di Sopravvissuto - The Martian (a pieno titolo uno dei film della nuova fantascienza) questi su Marte non ci arriverà mai ma dovrà lottare per sopravvivere nello spazio. È quella strana tensione verso il rischio e verso la visione di qualcosa di nuovo a spingere tutto il film, il desiderio di arrivare. Peccato che non ci sia anche un intreccio, che non ci sia l’ansia di non morire di Gravity o la determinazione di Interstellar ma solo un lento soffrire, che non ci parla di umanità ma solo di cattivo cinema.
La lenta deriva dell’astronauta che ha deciso di viaggiare in sola andata verso Marte è la morte inesorabile di un film determinato ad avvitarsi su se stesso, sui suoi dilemmi e sui grandi quesiti che ripete ossessivamente fino a consumarli ed esaurire ogni senso anche dal fertile terreno del rapporto tra l'uomo e la solitudine, tra lo sconosciuto e la prossimità alla morte. Tutti temi su cui il film passa più volte con la medesima noia che attanaglia la vita di un uomo solo su una navicella spaziale.