Torino 33 - La Felicità è un Sistema Complesso, la recensione

Dopo Non pensarci Zanasi torna con la stessa squadra su quasi la stessa storia ma La felicità è un sistema complesso è un incomprensibile disastro

Critico e giornalista cinematografico


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Tanto aveva impressionato Non pensarci nel 2007 da generare una meno fortunata serie televisiva, tanto aveva impressionato che, sembra di capire, anche per il suo film successivo Gianni Zanasi ha radunato la medesima truppa (tornano Teco Celio, Giuseppe Battiston e soprattutto Valerio Mastandrea) sempre in una storia di imprenditoria fallimentare del nord Italia e tentativi di salvezza di una famiglia.

La felicità è un sistema complesso però non ha nulla a che vedere con Non pensarci, è un film che non sembra nemmeno diretto dal medesimo regista tanto vaga senza metà. Non c’è traccia della concretezza di quel film che ha cambiato la percezione presso il pubblico dell’abilità di Zanasi, anzi c’è l’esatto opposto, un andamento errante che perde per strada anche quel poco d’interessante che le premesse lasciavano intuire.

Buona parte della commedia del film si basa su Valerio Mastandrea intento a fare brutte figure, a disagio in diverse situazioni e come abbandonato a se stesso in contesti imbarazzanti. L’inadeguatezza del suo personaggio sembra di capire che gli venga dal suo essere alieno a quell’ambiente (anche qui come accadeva in Non pensarci), anche perché il film lo vende come molto bravo nel suo lavoro, e sembra essere l’unico espediente con il quale la storia sì tiene in piedi. L’intreccio parla di una famiglia industriale nella quale muoiono i genitori e di una società (quella per cui lavora Mastandrea) che deve sottrarla ai figli ancora in età universitaria per venderla a qualcuno di migliore.

Zanasi sembra decisamente più interessato allo sfondo che ai personaggi, sembra più concentrato sul concetto di imprenditoria morale, sulla missione del protagonista di sottrarre le imprese a chi non sa gestirle per trovare amministratori responsabili (“Ma ce ne sarà uno coi sensi di colpa no? Esisterà!”) che alla storia principale. Questo non sarebbe male, anzi, dà a tutto il film una strana aria irrisolta da cui avrebbe potuto beneficiare, se non fosse che anche dal lato di comprensione dell’umanità delle persone ritratte La felicità è un sistema complesso è deficitario e, per quanto parta bene, dai primi momenti comincia una lenta ed inesorabile discesa di ritmo e solidità. Da un certo punto in poi infine decide purtroppo di massacrarsi da sè a colpi di sequenze musicali superflue e sembra deporre ogni arma, attendendo inerme la propria fine, privo anche della voglia di respirare. Non va nè avanti nè indietro, non si muove ma ripete se stesso. Una lenta ed incomprensibile morte.

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