Mechanic: Resurrection, la recensione

Ancora più calato del suo predecessore nel genere "Statham", Mechanic: Resurrection ha la giusta dose di ammirazione per l'azione reale

Critico e giornalista cinematografico


Condividi
The Mechanic è resuscitato. Lo dice già il titolo. Ed è almeno la seconda volta.
Dopo essere tornato in vita in forma di remake del film omonimo (cioè Professione Assassino) con Charles Bronson, ora torna come sequel di quel remake, sempre con Jason Statham. E in questa terza vita è ancora di più un “film di Jason Statham” di prima.
Statham infatti è un attore che plasma i film intorno a sé, che piega le sceneggiature e le regie intorno ad un sottogenere dell’action movie che esiste solo se c’è lui come protagonista. Trame, personaggi secondari, scene d’azione e finali sono quasi sempre gli stessi, nel sottogenere Statham, plasmati sull’esempio aureo di The Transporter. Si tratta della forma più sincera e meglio riuscita di film di vera serie B d’azione di cui possiamo godere in questi anni. L’unica garanzia.

Dunque anche qui lui è un contractor privato che fa il lavoro sporco (ma con classe e una bravura unica) per conto della malavita. Qualcosa però va storto e qualcuno si mette in testa che deve morire. La sua unica salvezza (e incidentalmente anche quella di una donna), sarà di rivoltarsi contro i propri mandanti e fare piazza pulita intorno a sé. Parte grandi acrobazie nel portare a termine le missioni, parte grande corsa per salvarsi la pelle contro i propri datori di lavoro.
La differenza a questo punto la fanno la mano e la fattura, la qualità del montaggio e quanto il film voglia davvero seguire le proprie regole o quanto si metta in testa la folle idea di essere qualcos’altro. Perché Statham sguazza nelle sceneggiature asciutte e nei film in cui il dialogo è funzionale all’azione e non viceversa.

Nonostante a dirigere questo film ci sia curiosamente un autore europeo, Dennis Gansel, arrivato in Italia in precedenza con L’Onda e, fino a ieri, specializzato in film sul nazismo o sull’eredità nazista, lo stesso la seconda versione di Professione Assassino, sembra migliore della prima, più centrata e coerente con il sottogenere cui appartiene.
Gansel ha un occhio per l’azione non eccezionale ma corretto, sbriga in fretta le pratiche dialogate, asciuga al minimo le spiegazioni degli intrecci e si concentra nel far fare a Statham il suo ruolo. Scene girate dal vero, nessuna controfigura e una certa “evidenza” nel mostrare i movimenti, le mosse e la velocità, che è il segreto di questo attore, un corpo filmico come pochi ne esistono nella sua generazione. Addirittura anche Jessica Alba sembra giovarne e la lunga scena sulla barca ha soluzioni per nulla banali di movimento e fuga.

Continua a leggere su BadTaste