La Stagioni di Louise, la recensione
Delicato, raffinato, lieve, riflessivo. È tutto quello che Le stagioni di Louise vuole convincere il pubblico di essere, ma in realtà inventa e crea ben poco
Tutto si può dire a Le Stagioni di Louise tranne che non sposi la forma con il contenuto. Per raccontare questa storia lieve e delicata, Jean-François Laguionie mette in piedi un film animato sui toni pastello sbiaditi, dalla saturazione bassissima e tempi dilatati, senza nemmeno un dialogo ma con tutta narrazione fuori campo.
Fieramente anziano come film, come concezione e come celebrazione della tempra di una donna che non ricorda quasi nulla ma è attraversata da lampi di consapevolezza e ricordi improvvisi, Le stagioni di Louise vuole trascinare lo spettatore in una dimensione da sogno lieve a furia di un'animazione che simula i tratti pastello e un character design buffo ma dignitoso, proponendosi come la massima punta del delicato e raffinato senza esserlo. Laguionie infatti sembra fermamente determinato a creare il meno possibile e il suo design minimale, volutamente naive, sembra incapace di generare immagini che parlino al di là dell’onnipresente voce fuoricampo. Cavalca ciò che è stato creato prima di lui (quell’immaginario di certo non gli appartiene ma semmai gli preesiste) per un’ennesima vorticosa avventura nel buonismo esasperato.
Ancora più deludente è poi la parte che riguarda i ricordi, inizialmente promettenti ma sempre di più ripetitivi e incapaci di ingaggiare un rapporto fruttuoso con il presente.
Nondimeno Le stagioni di Louise è così indefessamente tenero, delicato e soffuso, che non potrà non piacere al proprio pubblico di riferimento.