Sono Solo Fantasmi, la recensione

Sballato, pieno di spinte diverse, incapace di prendere una direzione unica nè di creare equilibrio, Sono Solo Fantasmi è un film non riuscito che però contiene alcuni momenti pazzeschi

Critico e giornalista cinematografico


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SONO SOLO FANTASMI, DI CHRISTIAN E BRANDO DE SICA: LA RECENSIONE

Che strano miscuglio che è Sono Solo Fantasmi. Ci sono tantissime intelligenze diverse al lavoro, tantissime spinte contrastanti e anche se alla fine l’equilibrio dei toni è sballatissimo e il film non funziona per niente, lo stesso i singoli spunti rimangono incredibili.
La storia è quella di tre fratelli, con in capo uno che decenni prima era stato un mago televisivo e ora è in disgrazia, i quali sfruttando la notorietà di lui iniziano un business come acchiappafantasmi a Napoli. L’idea è venuta al meno equilibrato dei tre, gli altri due lo hanno seguito senza crederci, convinti dai primi guadagni. Ad un certo punto si renderanno conto che è tutto vero, i fantasmi esistono e non sono contenti della loro attività.

Se vi sembra Ghostbusters è perché è esattamente Ghostbusters (l’andamento e gli snodi sono precisamente gli stessi fino alla fine), ma è anche un film di Christian De Sica, uno cioè in cui la famiglia è un incubo e una gabbia, in cui le donne sono aguzzine e gli uomini per sopravvivere devono stare tra di loro, uno che quando può devia su corpi sformati, mette in scena (anche se qui solo per poco) il travestitismo e comunque predilige sempre fisici fuori misura (c’è anche Nadia Rinaldi, la musa di Faccione, il suo primo film da regista).

C’è poi l’ossessione per lo spettacolo anni ‘80 e ‘90 come fonte del male di Guaglianone e Menotti (che hanno scritto il soggetto ma non la sceneggiatura), c’è il loro senso per il cinema americano e la loro capacità di trovare anfratti molto italiani in cui il rischio e l’apocalisse possa avere senso.

E poi c’è Brando De Sica che del film è regista “tecnico” (colui che si occupa di tutti i comparti tecnici), con i suoi obiettivi deformanti e il suo tentativo di fare qualcosa di più sofisticato. Tutto insieme questo melange è un disastro che rende il film né una commedia con Christian De Sica, né qualcosa di davvero diverso.

Non ci riesce perché non si libera del peso della commedia tradizionale (c’è una library di effetti sonori da commedia di Adriano Celentano!), perché non ha mai il coraggio di lavorare seriamente sul turbamento, perché non riesce a modellare la recitazione su uno standard che non sia quello degli attori che recitano se stessi. L’unico magnifico ribelle è Gianmarco Tognazzi, che nonostante i decenni di esperienza nel cinema italiano ancora crede in quella pratica così fuori moda che è creare un personaggio per una commedia, dargli una parlata, una postura, dei tic e degli atteggiamenti caratteristici che non siano i propri. Lui recita, gli altri declamano (anche bene) delle battute.

Quel che rimane allora sono dettagli e piccoli anfratti che lasciano immaginare come poteva essere il film. Sono ad esempio le immagini di Napoli svuotata e militarizzata con elicotteri in tutto il cielo per la minaccia del Vesuvio, idee potenzialmente forti se non fosse che la parte d'avventura è sempre maldestra e sbrigativa, un incomodo invece che un piacere, un fastidio e non una ricchezza.

C’è però una cosa in cui questo film crede. Ed è incredibile! Christian De Sica interpreta e dà voce al padre dei tre fratelli. Si chiama Vittorio, ha i vizi di Vittorio De Sica, ha la sua voce e quando compare è Christian vestito e truccato come il padre. Uguale. In un momento sott’acqua il faccione di questo Vittorio De Sica fantasma guarda Christian e Carlo Buccirosso, due travet della commedia, li guarda bonariamente per salvarli. Più avanti Christian lo interpreterà in un momento grave, con espressioni gravi e sarà pazzesco, un momento avventuroso che nasconde pura nostalgia di un figlio verso un padre. C’è un attimo di autentico contatto con quella che è la storia personale di un attore, e la storia collettiva del cinema italiano attraverso una dinastia che ha avuto alti e bassi e sembra quasi rappresentarli qui.

Non può certo reggere un intero film ma è una suggestione così profonda che mi mette in difficoltà, perché non so ricordare quale altro film italiano negli ultimi anni abbia lavorato in questo modo sul cinema e sulla nostra tradizione.

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