Science+Fiction 2015 - Turbo Kid, la recensione
Attaccato al suo citazionismo e all'effetto nostalgia, Turbo Kid s'illude che tutto ciò unito ad un atteggiamento divertito basti. Ma decisamente non è così
Strana perché il film non è uscito in quasi nessun paese (tranne America e Giappone) ma nel corso dell’anno è diventato il beniamino dei festival a partire dal Sundance e dal South by Southwest. Insomma è un cult punto e basta, nonostante ci vorrebbe almeno qualche anno per poter assegnare quest’aggettivo, lo stesso Turbo Kid è un cult, forse meglio dire un instant cult, uno di quei film che può meritare la nomea già alla prima visione, perché è pensato per essere tale, è fatto a misura di venerazione di nicchia.
In realtà non è esattamente così, anche il rimando, la citazione e la voglia di fare oggi con distacco intellettuale o anche solo goliardico qualcosa che sembrava avere senso solo ieri, non è semplice nè scontato nè un’operazione tirata via come invece è Turbo Kid.
Tra citazione dello sciatto e sciatteria vera il confine è sottile e molto spesso l’impressione è che Turbo Kid sia solo brutto e noioso, scemo e privo dell’ABC del cinema. Le citazioni sono tantissime, sono nella trama, nelle spille, nei colori e nei trucchi. Ovunque. Eppure i tre registi del film non trasformano mai materia grezza in materia alta, non fanno mai di un pasticcio un film vero ma solo un esperimento adolescenziale, quelli in cui la convinzione di condividere con tutti un universo di riferimenti basta a fare il film.
Unica nota positiva è la scoperta di Laurence Leboeuf, attrice vera, l’unica capace di prendere le sue battute e le sue scene e farne qualcosa di interessante, imprevedibile e così puramente filmico da stonare con il resto di Turbo Kid.