Science+Fiction 2015 - The survivalist, la recensione

Secco e ragionevole, poco parlato e molto coerente The survivalist è la cronaca di un uomo in una società regredita che fa di tutto per non morire

Critico e giornalista cinematografico


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Tutto quel che solitamente costituisce la fantascienza, cioè il design futuro o retrofuturo, steampunk, derelitto e anche solo genericamente distrutto (città in rovina, scenari arsi al suolo, mondi alla deriva) The survivalist se lo lascia alle spalle. A sostenere che ci troviamo in un tempo e in un luogo in cui qualcosa ci ha rispediti nel medioevo è solo una grafica iniziale, una che mostra gli indici di popolazione del pianeta e consumo di petrolio negli ultimi 100 anni e poi nel futuro, quando ad un certo punto crollano in picchiata. Da qui, sembra di intuire, inizia un film tutto ambientato nei boschi e più precisamente attaccato alla vita di un uomo che intorno alla sua baracca e al suo orticello ha costruito le proprie sicurezze, un uomo regredito da anni di solitudine, che non parla mai ed è sempre pronto ad uccidere chiunque veda.

Non meraviglia quindi che The survivalist sia un film di poche parole e molte azioni, uno che sembra aver fatto voto di castità nella sceneggiatura e come può sostituisce una frase con un gesto. L’uomo che seguiamo silenziosamente nella sua ripetitiva quotidianità utile a rimanere in vita, incontrerà due donne in cerca solo di cibo, madre e figlia, che lo convinceranno a dividere il poco che ha (e non sparargli) con l’offerta sessuale della più giovane. Non ci sono buonismi o piccole conversioni, solo fornicazione e utilitarismo, baratto e aspettativa di vita bassa. Braccia in più per la coltivazione ma bocche in più con cui dividere il poco cibo, armi per la difesa e pericolo costante. Con invidiabile coerenza il protagonista non smette mai di tenergli il proprio fucile puntato contro.

Come molta videoludica indipendente anche questo film britannico posiziona un uomo in uno spazio che intuiamo essere grande, vasto e libero, chiedendogli solo di sopravvivere mentre noi guardiamo se ci riesce. Gli umani e i sentimenti che questi risveglieranno sembrano un’altra difficoltà, come il raccolto, le trappole per animali e i predoni, come le malattie e le ferite. The survivalist con estrema ragionevolezza racconta davvero dello sforzo per rimanere vivo di un uomo che ha perso tutto (società inclusa), un pretesto per dare un’occhiata alla parte più nera e animale dello spirito di tutti. Nella sua vita il contatto con la pelle morbida di donna è un’arma, un fungo uccidere in poco tempo e 6 persone alla tua porta sono la morte. Che bravo Stephen Fingleton a non cedere a nessuna scorciatoia e scegliere la strada più dura e pura per fare questo racconto, l’unica che gli consente di creare un ambiente lontano dalla realtà e completamente credibile.

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