Science+Fiction 2015 - Summer camp, la recensione
È possibile ancora innovare e farsi venire idee in un film di zombie con ragazzi? Summer camp sostiene di sì e dimostra di avere ragione in 81 minuti puliti
Subito tensione, subito stranezza, subito carattere.
Ma non solo un'illusione momentanea, c’è grazie a Dio un’idea di puro cinema alla base di Summer camp, una che parte dalla sceneggiatura e ricade sulla messa in scena, come nei casi migliori. Si tratta di mettere gli spettatori sui binari più consueti (c’è un campo estivo spagnolo che sta per aprire, a lavorarci sono dei ragazzi americani, ad un certo punto però si sparge un’epidemia di rabbia che rende alcuni di loro bestie sanguinarie assetate di morte), proporgli la più classica delle cornici di genere con personaggi (una ragazza ricca, una più spartana e un ragazzo impacciato), location (una vecchia villa abbandonata in mezzo al nulla) e svolgimento usuali (fuga dai rabbiosi ed esigenza di sopravvivere) per poi introdurre le variazioni significative.
In questo caso l’idea di Summer Camp sta tutta nel fatto che tutti sono contaminati, solo che la rabbia colpisce ad ondate, dunque ci saranno momenti in cui alcuni sono sani e devono fuggire mentre altri sono rabbiosi e inseguono, e altri in cui accadrà il contrario. I ruoli si invertono di continuo nel film, costringendo gli stessi personaggi a rivedere le loro strategie di salvezza e consentendo al film di passare da vittime femminili (scream queen) ad indomiti eroi maschili nella medesima parte. Gli obiettivi e le speranze di salvezza di colpo non sono quelle cui siamo abituati, non è mai chiaro cosa fare nè come, c’è un’instabilità che dà ad ognuna delle invece consuete impennate di tensione una forza maggiore.
Ma non basta: Summer Camp, che è un film dalle ambizioni giustamente controllate, ha anche la bravura di rimanere in un terreno morale ambiguo, non santifica i propri personaggi ma li contamina di una meschinità più che opportuna. Senza piegarsi vigliaccamente alla dittatura della mitologia zombie, addirittura prende quel che gli serve e ne fa ciò che vuole, decidendo in autonomia come possano funzionare nel proprio universo (non contagiano e sembrano molto più umani). Fierezza intellettuale e umiltà cinematografica, unite ad una durata più che opportuna (81 minuti, il minutaggio perfetto per l’horror di questo tipo): inappuntabile.