Science+Fiction 2015 - Stung, la recensione

Vespe giganti che cacciano gli esseri umani per colonizzare il pianeta. E non c'è un filo di ironia. Stung esagera, ci crede troppo e sfocia nel ridicolo

Critico e giornalista cinematografico


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Diero Stung c’è Benny Diez, cresciuto come supervisore degli effetti speciali (ha lavorato a Melancholia di Lars Von Trier), ora all’esordio alla regia sullo script dell’esordiente Adam Aresty, e una volta tanto un esordio non ha la forza eversiva e rabbiosa di chi ha covato a lungo la possibilità di dire la propria ma il conformismo dell’industria. Stung è un film come molti altri che non si diverte ad essere tale ma si prende anzi molto, troppo, sul serio.
La trama è risibile eppure siamo solo noi in sala riderne, gli autori sembrano non coglierlo. Ad una festa arrivano delle api mutanti che pungono gli uomini e dopo poco fuoriescono dal loro corpo ma giganti (il meccanismo non è spiegato ma suppongo depositino delle uova che si schiudono subito dando vita ad un insetto proporzionato al corpo che ha ospitato le uova). Insomma dopo la strage quel che accade è che ci sono quelli del catering a combattere gli insettoni in una magione isolata per tutta la notte.

Gli effetti speciali sono molto buoni, un misto di CG e vecchi prop bavosi. Bene. Il resto invece lascia a desiderare, sia nei rari momenti in cui Stung sembra aver coscienza di sè e della propria intrinseca ridicolaggine vecchio stampo, sia nella maggior parte della storia, quando seriamente si preoccupa per l’invasione di vespe giganti. Tutto ciò moltiplicato per quasi un’ora diventa subito difficile da sostenere. Di fuga in fuga, di piano d’evasione in piano d’evasione le scelte fatte dai protagonisti e quindi la sceneggiatura si piegano dolcemente verso la grande melassa del banale, in cui galleggiano senza avere, se non altro, la dura scorza del postmoderno.

Il postmoderno, tra le molte cose, nelle sue molte evoluzioni è diventato anche una maniera per poter riproporre oggi storie e film che non sarebbero più sostenibili ma lo diventano in virtù di un cambio di sguardo, uno conscio della storia del cinema e dello scorrere del tempo. Ma Stung non si vuole far dare una mano da tutto ciò, anzi! Stung pretende che queste storie siano attuali.
Alle volte “crederci” è l’unica maniera per poter essere onesto e riuscire a convincere il pubblico anche delle storie meno credibili, altre volte invece è una condanna. Nemmeno a dirlo il caso di Stung è il secondo, condannato ad essere forse l’unico in ansia e spaventato dalle sue vespe giganti che sembrano uscite dai film anni ‘80 che citano quelli anni ‘50, tutte radiazioni e scorie chimiche (ma non mi dire!), tutte coppie che scoprono un sentimento nel pericolo e comprimari stereotipici.
Non si può. Non si può più.

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