Science+Fiction 2015 - L'Altra Frontera, la recensione

Fantascienza del presente, intenzioni chiare e atteggiamento nervoso, L'altra frontera non è perfetto di certo ma ha il piglio migliore e la chiusa giusta

Critico e giornalista cinematografico


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BadTaste.it è media partner di Trieste Science+Fiction 2015, il Festival della Fantascienza in corso a Trieste

L’altra frontera sembra molto in linea con tanta fantascienza distopica del presente, cioè quella che proietta in un futuro derelitto le questioni irrisolte della società contemporanea. Non è quindi diverso da La Zona, Index Zero o (ma di certo più in grande) da quello che fa Neil Blomkamp in District 9 o Humandroid: mostrare la mostruosità del presente attraverso la sua trasfigurazione nell’immaginario fantascientifico. La parte difficile di quest’operazione è mantenere i piedi per terra, cioè evitare di rendere tutto troppo di finzione ma mantenere la metafora con il presente molto viva e concreta, sempre accesa nella testa dello spettatore. L’altra frontera purtroppo non ci riesce sempre nonostante un’impressionante capacità di concentrarsi verso il proprio obiettivo.

La storia è quella di una mamma e un figlio in una terra di nessuno, non è chiaro cosa sia accaduto ma è andata molto male. Mancano tutte le risorse e i due si stanno spostando tra predoni e offerte sessuali per arrivare ad una specie di campo in cui non fanno entrare proprio tutti ma che sembra essere la salvezza. Ci arriveranno dopo non poche difficoltà e là dentro comincerà ad essere chiaro cos’è quel luogo e più o meno cosa sia successo e debba accadere. L’unica cosa che si può dire è che nel campo comincia la loro lotta per l’accesso alla società civile.

È l’immigrazione l’obiettivo di questo film girato in lingua catalana che vuole raccontare di rinterzo le difficoltà di arrivo nel loro Eden per tutti coloro sono “fuori” dalla società del benessere. Per farlo sceglie la metafora dello spettacolo, così da dire qualcosa non solo su chi entra ma anche su chi fa entrare e su come viva le notizie riguardanti i migranti. L’operazione, è abbastanza chiaro, intellettualmente è rigorosa e ineccepibile, cinematograficamente molto meno, perché il film non è in grado di mantenere il proprio ritmo alto e soprattutto di creare reale coinvolgimento nella grande girandola in cui costringe i propri personaggi a vorticare. Specialmente il grande colpo di scena sul loro passato suona stantio e marcio.
Detto questo, non si può negare che con l’ultima inquadratura André Cruz Shiraiwa giunga proprio a quella sintesi tra proiezione distopica e realtà dei nostri giorni che era auspicabile e nelle intenzioni del film fin dalla sua concezione. Con il grande carrello all’indietro che chiude il film L’altra frontera conferma che pur non essendo il massimo del rigore cinematografico, di certo aveva ben chiaro cosa intendesse fare.

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