Science+Fiction 2015 - Idyll, la recensione

Horror slavi come Idyll continuano a dimostrare che anche se non sono originali, sanno dipingere personaggi e storie tra i più impressionanti in assoluto

Critico e giornalista cinematografico


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Non c’è molto di nuovo in Idyll, non c’è molto di diverso rispetto a quel che conosciamo e abbiamo imparato ad aspettarci sia dal cinema di paura slavo (l’orbita che gira intorno a Serbia, Ucraina, Slovenia e Montenegro) sia in generale dal torture porn. Perché proprio con queste due idee in mente si muove Idyll, da un lato imbastisce la storia di due modelle e un fotografo sui monti per un servizio fotografico, per l’appunto in uno scenario idillico, dall’altra quando l’orrore li cattura si trastulla un po’ con i fondamentali della tortura. Tomaz Gorkic non è propriamente un regista raffinato, lo stesso si diletta nelle riprese ravvicinate e nell’insistito e violento massacro della carne di un personaggio e quindi della mente degli spettatori. Ma è una parentesi.

Gran parte del film infatti è cinema dell’orrore classico d’ambientazione diurna, cioè fughe tra i monti e lotta per la sopravvivenza, tenace resistenza a tutti i costi contro un’umanità inqualificabile. Mostri dagli abiti simil-tirolesi, montanari infami orrendi come le famiglie deformi di Non aprite quella porta e bastardi come i sadici di Hostel. I cattivi sono fatti apposta per essere odiati qui, sono macchine di morte senza sentimenti, creature senza ritegno o morale, senza rispetto o anche un solo briciolo di coolness. Fanno letteralmente schifo. Gorkic però baderà bene, a fine film, a ricordare a tutti con un ottimo colpo di sceneggiatura (sempre da lui firmata) che se quel che abbiamo visto tra i monti è raccapricciante, quel che viene dalla città non è che sia meglio. È proprio che gli esseri umani sono una cosa da cinema dell’orrore.

In questo punto di vista sta la parte migliore di Idyll, film altrimenti molto, molto ordinario (che pensa di essere originale nel posizionare il proprio orrore dentro un idillio con l'unico risultato di passare da banale a kitsch quando insiste a rimarcarlo). Buona parte del cinema di paura che ci arriva dai paesi slavi ha una grettezza che è sconosciuta da noi, non è tanto quel che mostrano (di nuovo, c’è un po’ di torture porn ma nulla che non si sia già digerito) ma per come lo fanno. Anche nei film dei cineasti più ingenui è comunque presente un approccio alle storie e ai destini di chi le abita che impressiona per cinismo e malvagità, per grettezza e assuefazione alla parte peggiore della vita. Quel che altrove impressiona tutti nel cinema di orbita slava sembra ordinaria amministrazione. Sono film che cercano di mettere terrore con i consueti strumenti (mostri, killer, presenze o mutazioni) eppure l’arma che spesso li rende micidiali non sono questi luoghi comuni quanto il mondo in cui agiscono, uno con un grado così basso di speranza e così poco decente da massacrare lo spettatore prima ancora che inizi la mattanza di protagonisti.
Vedendo film come Idyll l'impressione è che forse quest'iniezione di brutale pessimismo e una generale revisione verso il basso delle aspettative nei confronti dell'umanità è proprio quello di cui l'horror ha bisogno.

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