La Corrispondenza, la recensione

Austero, serioso e con un'enfasi troppo spesso esagerata, La Corrispondenza e uno dei film più ingiustamente appesantiti da Tornatore e dal suo stile denso

Critico e giornalista cinematografico


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La Corrispondenza si presenta a tutti gli effetti come un doppio di La migliore offerta, il precedente film di Tornatore, altra opera internazionale, una storia che vive di un piano ordito da uno dei personaggi e riflesso sul vero protagonista, un rapporto stranamente a distanza che si spiega attraverso indizi, buste, luoghi da visitare e un continuo avvicinarsi e allontanarsi. Stavolta però il meccanismo non serve a raccontare di una storia d’amor perduto fuori tempo massimo per un uomo che ha sempre tenuto lontano da sè i sentimenti, quanto quella di un sentimento che non vuole finire contro ogni evidenza della vita reale, due amanti che continuano a cercare d’amarsi anche se a separarli c’è la distanza meno colmabile in assoluto. Non è il thriller la cornice ma il melodramma, eppure l’esito pare sempre il medesimo: la retorica.

Come e più che in La migliore offerta Tornatore dà fondo a tutta l’enfasi di cui il suo cinema è capace. Con un intreccio meno denso si concentra sul mondo interiore dei personaggi, le loro considerazioni, l’amore parlato più che quello mostrato o provato, con una pulizia visiva che è confermata dal doppiaggio esagerato, così impostato e corretto da sembrare scollato dalle immagini (e con un vago effetto-The Lady).

L’impressione è che le trappole della retorica e della melassa non siano considerate tali da Tornatore, che invece per costruire il cuore del proprio film indugia sullo struggimento e sugli alti e bassi del sentimento. Lo scopo impossibile del film sarebbe raccontare la difficoltà nell’abbandonare un amore, il continuo alternarsi tra voglia di prenderne le distanze e il desiderio di ritrovarlo, la tecnica scelta è quella del rimando continuo. Ogni scena rimanda di un po’ l’abbandono, ogni scena rimanda alla successiva per un altro dialogo ancora, un altro sguardo al mare in tempesta, un’altra dichiarazione d’amore, un ultimo viaggio in aereo verso il tramonto.

A fronte di tutta la contemporaneità ostentata dai tantissimi dispositivi tecnologici usati per la corrispondenza del titolo, il film ha un impianto narrativo anziano, pomposo e volutamente pesante. Il portato metaforico è talmente forte e rimbombante da rintronare. Tutto gira intorno alla morte e questa viene ripetuta e declinata in ogni personaggio e ogni oggetto del film con una gravitas spesso davvero eccessiva. Dalla tesi della protagonista sulle stelle che muoiono (e l’importanza, per noi, della loro morte) fino alla sua professione da stunt-woman, in cui mette in scena di continuo e lungo tutto il film delle finte morti; senza contare il suo lavoro da modella (in cui quasi soffoca creando per errore una statua in cui piange) o al discorso sui possibili mondi paralleli che fa da eco al moltiplicarsi delle rappresentazioni del co-protagonista di Jeremy Irons. Tutto è raddoppiato di continuo, ogni significato lo sentiamo echeggiare nelle vite dei personaggi, come epifanie o premonizioni da romanzo di Tolstoj.

Eppure La corrispondenza è uno dei pochissimi film italiani degli ultimi anni a tirare in ballo la modernità senza denigrarla, senza usarle per rimpiangere un generico passato. Forse è un caso o forse no che si tratti di un film italiano pensato per un mercato internazionale, recitato in inglese da star mondiali e ambientato in Inghilterra. Ad ogni modo la parte più immediatamente evidente di questo dramma sentimentale è quanto lavori sulla comunicazione contemporanea, addirittura esagerando (moltiplicando dispositivi, sistemi di messaggistica, schermi, video, clip, sms, mail….), senza che tutto questo sia connotato negativamente. Anzi! Per la prima volta in assoluto in un film italiano di rilievo la vita contemporanea e le sue caratteristiche più distintive, tra cui la comunicazione tra persone mediata dalla tecnologia, non sono ignorate o condannate ma sono custodi del sentimento e non un suo carnefice, uno stratagemma romantico e non uno che uccide il romanticismo. Per la prima volta vediamo ciò che viviamo, ovvero storie sentimentali veicolate e aiutate dalla tecnologia invece che ostacolate. Per la prima volta abbiamo l’impressione che tutto sia possibile grazie al tempo che viviamo e non nonostante esso, l'impressione di essere fortunati ad essere vivi proprio in questi anni.

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