Kreuzweg - Le stazioni della fede, la recensione
Controllatissimo e rigoroso Kreuzweg ci illude di essere quel che pensiamo fino alla clamorosa sterzata finale che afferma la complessità del vero cinema
Deviata da un'educazione bigotta cattolica la bambina al centro della storia desidera essere rigorosa, ha interiorizzato i precetti e li vuole eseguire alla lettera per aiutare il fratello malato. Tutta la forza di Kreuzweg sta nella maniera minimale, controllata e molto precisa con la quale la situazione sfugge sempre più di mano.
Ma lo stile compassato di Kreuzweg è soprattutto importante per lo spiazzante finale che dimostra la buona fede del cineasta e la complessità della storia. Lungo tutto il film attraverso quel punto di vista così apparentemente oggettivo (camera fissa, nessuna enfasi) abbiamo l'impressione di assistere ai fatti per come si sono svolti, liberi di farci una nostra idea. In realtà scopriamo alla fine di aver avuto un pregiudizio anche noi, di essere stati influenzati dal film a farci certe idee che vengono smontate a sorpresa.
Proprio questo avanti e indietro tra ragione e torto, tra pregiudizio ed esito della storia, è un movimento fondamentale per la comprensione la potenza e la forza dello stile più antipatico e respingente ma, se utilizzato bene, anche il più complesso e coinvolgente.