I am Sherlock, la recensione

I am Sherlock mantiene le peculiarità di uno shonen mettendo in scena una rivisitazione sui generis del capolavoro di Arthur Conan Doyle

Classe 1971, ha iniziato a guardare i fumetti prima di leggerli. Ora è un lettore onnivoro anche se predilige fumetto italiano e manga. Scrive in terza persona non per arroganza ma sembrare serio.


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I Am Sherlock 1, copertina di Kotaro Takata

Il cofanetto con tutti e quattro i volumetti che compongono I am Sherlock è arrivato in fumetteria e in libreria lo scorso giugno. Dallo stesso mese, J-POP sta pubblicando a cadenza mensile i singoli brossurati.

Pubblicato da Shogakukan sulla rivista Gessan a partire dal 2017, questo manga potrebbe sembrare l'ennesima trasposizione delle avventure di uno dei più celebri e intramontabili investigatori della storia del giallo: Sherlock Holmes. L'opera scritta da Naomichi Io e disegnata da Kotaro Takata (Hallelujah Overdrive!), tuttavia, si distingue dai precedenti adattamenti, fumettistici o meno, per la peculiare ambientazione: una Londra altamente futuristica. Il protagonista è inoltre un androide ipertecnologico con l'aspetto di un ragazzino, progettato dalla dottoressa Emma della Asagi Corporation.

Sherlock incontra John Watson, che anche qui è un ex ufficiale medico dal cuore d'oro ferito in Afghanistan, ma anche un ventenne vagabondo, donnaiolo e patito di videogame, dedito a sbarcare il lunario con metodi, spesso, poco legali. Per I am Sherlock, Io e Takata prendono ispirazione dai lavori di Arthur Conan Doyle (maggio 1859 – 7 luglio 1930) a partire dal romanzo d'esordio del celebre detective, Uno studio in rosso (A Study in Scarlet, 1887), dove i due fanno conoscenza e, dopo le iniziali schermaglie, decidono di condividere l'affitto del mitico appartamento al 221B di Baker Street.

I mangaka proseguono il loro intreccio attingendo ad alcuni tra i racconti più noti; reinterpretandoli totalmente, come accade a Un caso di identità (A Case of Identity, 1891) o La banda maculata (The Adventure of the Speckled Band, 1892), oppure unendone tra loro alcuni peculiari elementi, come ne La lega dei capelli rossi, che fonde l'omonima novella (The Red-Headed League, 1891) e L'avventura di Charles Augustus Milverton (The Adventure of Charles Augustus Milverton, 1904).

"Una rivisitazione davvero sui generis del capolavoro di Doyle che mantiene tutte le peculiarità dei manga shonen."Parte della vasta produzione di Doyle viene dunque riletta e ritessuta in un unicum narrativo coerente e funzionante, dotato di una chiave di lettura squisitamente sci-fiction e cyberpunk ma affetto da topoi inflazionati come l'immancabile contrapposizione uomo/macchina e la ribellione dell'intelligenza artificiale al proprio creatore.

Coloro che non hanno mai letto nulla di Sherlock Holmes potrebbero trovare queste soluzioni scontate, mentre chi conosce questo classico della letteratura si divertirà parecchio grazie al curioso stravolgimento subito dalle figure principali e secondarie della saga: ci sono praticamente tutti, e tra essi spiccano lo spiazzante restyling di Mrs. Hudson, del Colonnello Sebastian Moran e perfino del Mastino di Baskerville. Ovviamente non poteva mancare la nemesi di Holmes, il Professor Moriarty.

I am Sherlock, di cui va sottolineata la qualità dell'edizione J-POP, è una rivisitazione davvero sui generis del capolavoro di Doyle che mantiene tutte le peculiarità dei manga shonen: è infatti popolato di giovani personaggi - pienamente japan style - e fatto d'azione, scontri, siparietti comici e ammiccamenti. La fluidità del tratto di Takata è rimarchevole, così come la cura nei dettagli e nella recitazione dei personaggi. La piacevolezza dei disegni ha inoltre il pregio di snellire una sceneggiatura che talvolta si appesantisce di inutili orpelli e rischia di avvitarsi su se stessa, nonostante il materiale d'origine su cui si basa.

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