La Cena di Natale, la recensione

Non era facile ma La Cena di Natale riesce a seguire le orme di Io Che Amo Solo Te enfatizzando la componente da soap televisiva e la forza retrograda

Critico e giornalista cinematografico


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A Polignano a mare è Natale e nonostante “non siamo mica a Bari”, lo stesso la signora Matilde vuole organizzare una cena della vigilia con tutta la famiglia, anche i parenti acquisiti. Proprio loro sono i più danneggiati dalla cosa visto che il giorno dopo la mamma di Chiara, Ninella, ha da tempo organizzato un pranzo di Natale per tutti. La cena sfarzosa di Matilde è una sfida perché suo marito, Don Mimì, segretamente corteggia il suo amore giovanile, ovvero proprio Ninella, a cui ora ha anche promesso una fuga nientedimeno che a Parigi, e lei per l’occasione si è fatta bionda (ma non sta proprio benissimo). Intanto Chiara e Damiano, i figli, dopo il matrimonio sono alle prese con la prima gravidanza, e nonostante questo sembra che quel discolo di Damiano non abbia smesso con il suo vizio delle amanti. Ma alla fine, anche stavolta e nella notte di Natale, ogni conflitto si appianerà, ogni tentativo di fuga sarà riportato all’equilibrio solito e anche ogni rottura sarà ricomposta nel nome dell’amore e del bambinello nuovo nato. Proprio quella sera.

Si sia visto o no Io Che Amo Solo Te, il precedente film della coppia Luca Bianchini (autore dei romanzi e collaboratore alla sceneggiatura) e Marco Ponti (ex autore dirompente di film postadolescenziali dotati di una certa forza eversiva, ora convertito all’ortodossia dura e pura del cinema televisivo), si può lo stesso godere di questa soap da preserale mandata in onda nei cinema. Il trionfo della famiglia allargata (anche stavolta non mancano i gay nel ruolo di “i gay che sono benvenuti con tutte le loro differenze da noi eterosessuali”) viene celebrato con ancora più forza grazie alle feste natalizie, si aggiunge la zia del nord (Veronica Pivetti) e anche quelli che erano bambini sembrano essere cresciuti ormai. Rispetto al film precedente anche le poche piccole sofisticazioni sono state abbandonate per una ripetizione seriale e semplificata di ciò che avrebbe funzionato.

Il vero miracolo di Natale è però il mistero di come ogni cosa che orbiti intorno a questo racconto ammorbidito prenda i toni luccicanti della tradizione e delle buone parabole dell’Italia di una volta. Anche la componente meno conservativa della storia, cioè la continua esposizione di uomini positivi che tradiscono mogli e fidanzate con pentimenti momentanei o ipocrisie matrimoniali a fare da riparazione, diventa più che un tratto ribelle e autentico, un retaggio tollerato dell’Italia del secondo dopoguerra, in cui l’uomo tradisce e la donna ama.
La Cena Di Natale è una miracolosa storia di come se impostati i giusti toni, scritto una sceneggiatura con la giusta dose di impersonalità, attenuate tutte le possibili asperità, allora qualsiasi svolta e qualsiasi elemento deviante sarà riportato nell’alveo del mantenimento dello status quo. Proprio come nelle belle e numerose famiglie tradizionali di una volta.
Verrebbe da chiedere: “Ma esistono queste persone? Chi sono? Dove si trovano davvero? Qualcuno ci si rispecchia?” ma il timore di una risposta fa venir voglia di desistere.

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