Cannes 72 - Atlantique, la recensione
Con una storia molto usuale di amore, morte e ribellissmo giovanile Atlantique mette sullo schermo del cinema veramente africano, delle idee diverse da quello europeo e lo fa con buono stile
Per fortuna a metà di Atlantique entra un’altra trama, entra un investigatore con strani svenimenti e un magnate che riceve la visita di alcune ragazze dagli occhi bianchi, spiritate. Al matrimonio di Ada il letto matrimoniale prende fuoco rischiando di scatenare un incendio, il principale indiziato è Souleiman ma nessuno lo vede da giorni, è partito su una barca vela con altri ragazzi.
Finalmente vediamo un film africano d’autore che non si limita ad imitare i corrispettivi europei ma trova una propria personalità. Dopo decenni di filmacci provenienti dai paesi africani realizzati ad immagine e somiglianza del cinema europeo (ma non a quel livello) Mati Diop racconta una storia semplice contaminandola di un tipo di spiritismo a noi sconosciuto, facendo in modo che le storie di spiriti abbiano una funzione e una mitologia che da noi non hanno.
E quando alla fine tutto questo spiritismo incrocia la trama iniziale di Ada e Souleiman, quando negli specchi vediamo riflesse le vere identità di queste persone spiritate e capiamo il ruolo dell’investigatore addirittura Atlantique riesce ad azzeccare delle immagini potentissime (quella finale delle manette) e sentimentali, straccialacrime ma con gusto e coerenza (addirittura anche le frasi poetiche fuoricampo con immagini del mare trovano un loro senso, incredibile!).