Bella e perduta, la recensione

Lo stile e lo sguardo di Pietro Marcello questa volta sono volti verso la realtà rurale ma Bella e perduta non trova l'equilibrio di La bocca del lupo

Critico e giornalista cinematografico


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Ad animare le opere di Pietro Marcello è la trasformazione della realtà in cinema attraverso il racconto e, ancora una volta, un suo film parte dalla ripresa di ciò che accade senza un copione per modificare e “aggiustare” la realtà al montaggio, affiancandogli la finzione. L’elemento che ogni volta impressiona di quest’idea di cinema è come trovi nelle storie che riprende delle anse, delle concavità da riempire con la finzione, ovvero con immagini sofisticate, soggettive, personaggi di fantasia ed elementi di sorprende tradizionalità. Bella e perduta parte dalla storia di Tommaso, l’angelo del Carditello, l’uomo che volontariamente e senza alcun compenso si era assunto l’onere di curare, mantenere e preservare la Reggia di Carditello, nel momento in cui versava in condizioni critiche e nessuno sembrava avere intenzione di occuparsene.

Oltre a Tommaso nel film ci sono anche altri protagonisti, un bufalo e un Pulcinella (inviato da una specie di ufficio di Pulcinella) presi in un viaggio attraverso l’Italia dei pastori che si rivelerà molto breve. Il bufalo sarebbe destinato al macello e Pulcinella cerca di salvarlo.
Se Gianfranco Rosi guarda la realtà e trova in quel che vede il cinema attraverso il suo sguardo, Pietro Marcello si apposta accanto alle sue storie vere per contribuire con della finzione. In Bella e perduta dunque il discorso reale e finzionale si snoda tra queste due dimensioni, tra le vere immagini di Tommaso al lavoro e l’epopea del bufalo Sarchiapone.
Manovrando le due dimensioni come componenti da assemblare Marcello realizza il suo Frankenstein, ibrido di diversi stili, capace di passare da una soggettiva ruvida del bufalo costretto al macello ad immagini splendide e curatissime dello stesso steso nell’erba, dalla morte annunciata nella realtà all’estasi della vita nella poesia.

Tuttavia il suo ultimo film non brilla come i suoi film precedenti, sembra appesantito da una determinazione minore. Questa volta la sensazione è di trovarsi di fronte ad un film meno deciso e più in balìa degli eventi, più erratico e decisamente meno concreto. Bella e perduta vaga come i suoi protagonisti, è fieramente dalla parte contadina ma sembra non saper che fare con quest’adesione. Se non è in dubbio la capacità di Pietro Marcello di muoversi tra le proprie immagini, stavolta è molto più questionabile la finalità dell’opera. La bocca del lupo era un melodramma di cronaca, un’insperata versione odierna di dinamiche passate che sì credevano dimenticate invece ancora si possono sognare al cinema senza perdere di vista l’attualità; Bella e perduta invece sembra un’inchiesta di fantasia, contaminata da un favolismo gestito in maniera poco proficua che sconfina dopo pochissimo nel rischio maggiore di un cinema così sofisticato: la noia.

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