7 Minuti, la recensione
Ricalcato su un'idea di cinema passata, 7 Minuti replica La Parola Ai Giurati per tornare a fare cinema di fabbrica ma senza la necessaria abilità
Ottavia Piccolo è quindi il Henry Fonda di questo La Parola Ai Giurati, l’ingranaggio che scardina il ragionamento convenzionale, la testa pensante che in una piccola sineddoche del mondo nuota in un’altra direzione e, con la forza della calma, della dialettica e dell’invito a ragionare invece che farsi trascinare dalla corrente, smuove coscienze e stimola cervelli.
C’è una reticenza eccessiva in Michele Placido nello svelare il cuore della questione, nel lasciare nel dubbio le sue protagoniste e lo spettatore, una che esaspera e svela il meccanismo del racconto, che strania e tira fuori dall’immersione. C’è una teatralità fastidiosissima in questo film, una che si manifesta con insopportabile puntualità nella recitazione sopra le righe di Ambra Angiolini e Violante Placido (invecchiata con un livello infimo di trucco, come in una recita parrocchiale) e che non può assolutamente essere giustificata dalla sua origine teatrale. C’è infine una meccanicità odiosa nelle conversioni e nei cambi di opinione, una che dovrebbe essere nemica di un simile film, in cui ad essere ricostruito non è un fatto ma il ragionamento umano.
È davvero nello svelare i propri trucchi, nel far vedere l’asso nella manica durante il gioco di prestigio, che 7 Minuti si dà la zappa sui piedi. Perché il ragionamento sul minutaggio che ribalta la prospettiva dal piccolo al grande, dal generoso all’ingannevole, dal particolare (la nostra situazione oggi) al generale (la più grande storia della progressiva perdita di diritti, un minuto alla volta) è invece molto azzeccata.
Ma come si può accettare un film che già si presenta antimoderno, tarato su ambizioni proprie di decenni fa? Come si può passare sopra alla meno accettabile delle sciatterie, quella che impedisce il coinvolgimento in una storia di parola e carattere, di vittoria intellettuale sulla pigrizia mentale? Come ci si può accontentare di essere trattati così da un film?