#Top2015: I 15 peggiori film del 2015 secondo Gabriele Niola

Con meno film italiani di quanto non si possa credere, la classifica del peggio di quest'anno trabocca di fallimenti annunciati e tentativi velleitari

Critico e giornalista cinematografico


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Dopo i migliori film dell’anno usciti in Italia, i migliori non usciti in Italia e poi i migliori di genere tocca inevitabilmente ai peggiori. Molti sono cocenti delusioni a lungo attese, ancora di più invece erano insalvabili già dal trailer o anche solo dall’annuncio, alcuni erano prevedibilmente pronti per questa classifica, altri ci sono finiti a sorpresa. Uno solo è stato ripudiato dallo stesso regista.

Stranamente per questo tipo di listoni si trovano pochi film italiani, solo 4, il che per fortuna fa il paio con il sovranumero nella classifica dei film migliori, tracciando una bella annata per il nostro cinema. Una che a giudicare da quel che ci aspetta per il 2016 potrebbe anche essere battuta.

15. Child 44

Il romanzone trasposto in film funziona pochissimo. Cast americano che parla con accento russo, Tom Hardy e Gary Oldman abbandonati a se stessi. La storia di un ufficiale che indaga su un omicidio nella Russia sovietica staliniana dei complotti e delle pugnalate alle spalle voleva essere un film grande in tutti i sensi, invece è stato solo polpettone noioso in tutti i sensi.

14. La scelta

Pochi cineasti sono incostanti quanto Michele Placido, cui va sempre riconosciuto il merito di provare a spingersi in territori diversi invece di puntare sul sicuro. Con La scelta ha girato un dei film più fastidiosi di tutta l’annata, fondato sulla difficoltà a comunicare dei protagonisti e di fatto incentrato su mutismi e fastidiose negazioni. Non riesce mai a creare empatia nella difficoltà ad aprirsi di una donna che ha subìto uno stupro, ma anzi incita a respingere il suo atteggiamento generando odio nello spettatore.
Là dove dovrebbe essere duro il film riesce solo ad essere irritante.

13. Life itself

La maniera peggiore di raccontare la vita di una persona. Nel caso particolare si tratta del più importante critico cinematografico d’America, Roger Ebert, e questa poteva essere un’occasione incredibile per narrare una figura che ha vissuto a margine dell’industria cinematografica, lavorando tutta la vita per il cinema senza contribuire (quasi) a nessun film e nell’ultimo periodo lottando contro qualsiasi limite fisico indotto da una malattia che lo aveva reso incapace di parlare e muoversi da solo. Life itself invece è un terribile complesso di scene reali mal girate e mal trattate con qualche intervista di repertorio.
Roba da tornare sotto forma di fantasma ad infestare il sonno dell’autore.

12. Terminator Genisys

Doveva essere una sorta di reboot di tutto l’universo Terminator, una nuova avventura in grado di fondare le basi per una saga strutturata, senza dover badare alla molto incoerente continuità con i precedenti episodi. Invece Genisys calpesta tutto quello che di buono esiste nella serie di Schwarzenegger, snatura il robot venuto dal futuro e lo trasforma in un amorevole nonno. Una rifondazione all’insegna del buonismo per una saga nata sulla tensione, l’orrore e la brutalità. Quand’è che il pubblico ha chiesto qualcosa di simile??

11. Heart of the sea

Doveva essere un grande film di avventura ma in un pugno di scene diventa un’opera fasulla, privo di qualsiasi respiro, pensata tutta intorno ad un protagonista che non regge la scena ed anche incapace di appoggiarsi ai suoi punti di forza (come il confronto tra un uomo e un animale gigante). La trovata di far raccontare tutto da un sopravvissuto direttamente ad Herman Melville poi è da far accapponare la pelle dal ridicolo.

10. Il ragazzo della porta accanto

Con sbrigatività crescente all’incedere del film, il ritorno di Jennifer Lopez al cinema nei panni di una donna che viene trattata da MILF da un ventenne piacente è un’odissea nel perbenismo. Ossessionata dall’aver fatto sesso con un ragazzo molto più giovane di lei ma aitante e molto molto consenziente, la protagonista si strugge e subirà conseguenze da thriller per quel che ha fatto. Come se non bastasse nel finale gli eventi precipitano senza nessuna costruzione, accadendo uno in fila all’altro.

9. Pan

È stato uno dei disastri annunciati dell’annata, arrivato in Italia sull’onda del flop americano, pensato per essere un franchise che rinarra le origini di Peter Pan ma clamorosamente incapace di mettere in scena l’avventura. Joe Wright non si è calato nei panni più giusti e pur regalando qualche scena molto bella (il rapimento iniziale) ha mancato il ritmo corretto, cercando invece il cinema più elevato. Solo nel finale sembra essersi ricordato di dover dare anche un colpo al cerchio dell’intrattenimento più epidermico, finendo per darlo troppo forte.

8. La felicità è un sistema complesso

Zanasi è un autore da coccolare, bravo intelligente e capace di scrivere e girare film con un piglio e un ritmo che lo differenziano da tutti, storie stralunate di individui in cerca di un posto nel mondo. La felicità è un sistema complesso però è terribile, un pasticcio insalvabile, appoggiato con le unghie ad un’unica idea di commedia (Valerio Mastandrea che fa brutte figure) e tenuto in piedi da una serie di imbarazzanti scene musicali. Sembra di poter scorgere l’intento originale ma è come cercare di riportare in vita un cadavere e fargli vivere la vita che avrebbe voluto per sè.

7. Cake

È il film indipendente che avrebbe dovuto mettere su un altro binario la carriera di Jennifer Aniston, che guarda caso ne è anche produttrice. Pensato tutto addosso alla protagonista cui spetta il classico ruolo che tutti ritengono “difficile” ma anche sufficientemente simpatico da essere certi che piaccia, Cake parla di una donna dopo un grave incidente, di problemi psicologici, blocchi mentali, traumi e fobie con la simpatia del cinema Sundance. Già il progetto suona terribile, la sua realizzazione poi è talmente goffa da non riuscire nemmeno a mitigare il fastidio dell’impresa con un po’ di buona narrazione. Pura tortura ai danni del pubblico.

6. By the sea

Dopo due film non andati benissimo Angelina Jolie per il suo terzo esperimento da regista coinvolge oltre a se stessa anche il marito, per la prima volta insieme dai tempi Mr. & Mrs. Smith. Nemmeno lo star power della coppia è riuscito a motivare qualcuno ad andare a vedere quest’opera d’inutile ambizione autoriale e buone intenzioni mal riposte. Angelina Jolie, sembra di capire, vorrebbe girare film europei di grande intensità, pieni di non detti e ambientati più dentro l’animo dei personaggi che nelle scene che calcano, eppure quel che si vede non corrisponde alle intenzioni. Se non si ha un’idea sufficientemente raffinata di messa in scena e scrittura i silenzi non sono sofferti, sono solo silenzi e i mutismi non sono ermetici, solo muti.

5. La famiglia Belier

Andrebbe proiettato a forza ogni qualvolta qualcuno afferma: “Un film così brutto solo in Italia lo potevamo fare!”. Cinema francese paratelevisivo di insostenibile buonismo, pluripremiato in patria ma smielato senza nemmeno la decenza di un buon mestiere, ruffiano con la pretesa di originalità per non dire di cinismo. Una dolce famiglia di burberi sordomuti ha una figlia che ci sente e per giunta canta. Il film pare figlio diretto dei talent show televisivi (che di certo gli sono superiori per costruzione narrativa) e di quel tipo di ossessione per le scuole di canto, con in più una letale voglia di commuovere a tutti i costi che giustifica ogni nefandezza.

4. Le leggi del desiderio

Il ritorno di Silvio Muccino alla regia avviene con un film dalle intenzioni buone e originali (storia di un imbonitore televisivo-letterario-teatrale, un guru che promette una vita di successo a chi lo segue) che si perdono quasi subito, al partire dell’intreccio. Il guru seguirà alcuni dei propri adepti più una ragazza che non ne vorrebbe sapere. In questa maniera scopriremo le insicurezze del guru della sicurezza in se stessi.
Il primo comparto a cedere è quello della sceneggiatura, mai scorrevole nel tracciare un arco narrativo, piena di grumi irrisolti e momenti in cui si arena invece di correre rapida. Il secondo è la recitazione, priva di indicazioni decise e (apparentemente) lasciata ai singoli attori con conseguenti risultati. A cascata seguono il montaggio (che sempre di più non riesce a dare i tempi migliori alla storia facendola spronfondare nella noia) e la scenografia sempre più ripetitiva. Alla fine si anela l’arrivo dei titoli di coda.

3. Ho ucciso Napoleone

Slegatissimo dall’inizio alla fine, Ho ucciso Napoleone parte da un titolo abbastanza pretestuoso, se non proprio scemo, e finisce con un colpo di scena che ammazza qualsiasi interesse rimasto. Il resto del film che sta in mezzo è una parabola di umanizzazione di un personaggio dalla meschinità teatrale, contornato da un’umanità che oscilla tra l’implausibile e il tragicamente metaforico. Il sogno autoriale di Giorgia Farina si sconta contro la realtà di un film in cui, per lo spettatore, nulla ha davvero un senso.

2. Game therapy

Il film americano di Federico Clapis e Favij è un pasticcio retroguardista che utilizza personaggi e idee da cinema di fantascienza hollywoodiano degli anni ‘80 per affermare la morale dei loro nonni. Recitato male come pochi altri film usciti al cinema hanno il coraggio di proporre, Game therapy è un’unica lunga sofferenza inferta allo spettatore. Girato, fotografato e montato con una certa abilità e un piglio da B movie, si fonda sulla più cretina delle sceneggiature, una che scambia i banali semplicismi e le scappatoie più scontate per stile classico o ancora peggio per adesione ad un genere. Peggiore di qualsiasi produzione degli stessi youtuber coinvolti è una secchiata in faccia di imbarazzo.

1. Fantastic 4

Vincitore annunciato di questa classifica, ripudiato dallo stesso regista dopo gli interventi della produzione che è rimasta delusa dal primo montaggio, Fantastic 4 è un pasticcio troppo breve, troppo sbrigativo e troppo eterogeneo. Da almeno metà si sente la mancanza di una mano sola al comando e la storia pare non sapere dove andare. I personaggi non sono mai realmente costruiti, così le loro scelte possono solo che essere le più scontate. Molte sequenze contengono vistosi errori di raccordo e il finale rapido ha il sapore della toppa più piccola del buco che vuole rammendare. A furia di rimetterci mano si perdono anche gli spunti iniziali fino a che il film giunge al risultato di essere una bozza, un’opera non finita guardando la quale si ha l’impressione che manchino dei pezzi anche grossi.

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