Jacques Rivette, è morto il padre meno conosciuto della Nouvelle Vague e della cinefilia moderna
Critico, regista e autore della Nouvelle Vague, Jacques Rivette non è mai stato noto come Truffaut o Godard ma fu una pietra miliare del cinema moderno
Parigi ci appartiene venne girato a partire dal 1957 con mezzi di fortuna e attori che in realtà erano amici (compaiono tra gli altri anche Godard, Chabrol, Demy e Rivette stesso), un po’ come tutti gli esordi di quella generazione. Diversamente dagli altri però il film non riuscì ad uscire fino a che non fu alta la febbre Nouvelle Vague, grazie ai lavori di Truffaut e Godard. Come già Le beau Serge o A doppia mandata di Chabrol, nessuno ricorda mai Parigi ci appartiene come primo film della Nouvelle Vague, come raramente Rivette viene ricordato come mente dietro quella grande svolta. Scrittore e cinefilo che ha contribuito a creare e partorire le idee dietro la politica degli autori, è stato in parole povere uno dei fondatori del concetto di “cinefilia” come continuiamo ad intenderla ancora oggi, nonostante tutto lo scenario e il mondo del cinema intorno a questa parola sia radicalmente cambiato.
Solo dopo, quando la spinta della Nouvelle Vague si era esaurita e ogni appartenente aveva preso una sua strada autonoma, Rivette è uscito di nuovo fuori dalle sale per girare.
Ciò che lo accomunava a Rohmer, Truffaut, Godard e Chabrol era la passione per un certo tipo di storie, il culto della donna intesa contemporaneamente come meraviglioso oggetto sessuale e come presenza romantica. Uscendo da anni in cui la sessualizzazione al cinema era quasi inesistente, Rivette come molti contemporanei era assetato di ciò che era possibile fare al cinema con l’esposizione del corpo della donna. Come loro amava rappresentare lo spettacolo, il making delle opere teatrali o il mondo che sta dietro ai film. Ciò che invece lo rendeva unico avvicinandolo a Jean Cocteau (i quale l’aveva spinto a girare i primi corti), era il simbolismo e l’amore per il fantastico, la voglia da un certo momento in poi di non essere ancorato al realismo.
Nella seconda e più prolifica parte della propria carriera i suoi film adoravano il simbolismo e l’impossibile. Col tempo Rivette ha anche sviluppato una tecnica legata all’improvvisazione e come spesso accade in questi casi si è appassionato dell’uso di gruppi di attori. Amava comprenderne molti nelle scene e gestirli come piccoli pupazzi.
Nonostante la grande pausa dei ‘60 Jacques Rivette era in realtà un bulimico di film, uno in grado di girarne anche 4 uno di fila all’altro o realizzarne uno (Out 1, noli me tangere) di tredici ore di durata. Non ha mai smesso di girare e fino al 2009 ha realizzato almeno un lungometraggio ogni 2-3 anni, tenendo una media impressionante per chiunque ma non per quella generazione che del fare film sembrava aver fatto una missione e che di cinema aveva sempre sostenuto di poter vivere.