Miriam si sveglia a mezzanotte, quarant’anni di culto e incomprensioni
Miriam si sveglia a mezzanotte è un esordio di un’eleganza incredibile e con una visione potentissima, che al tempo non fu capito (e pure oggi…)
Miriam si sveglia a mezzanotte compie quarant’anni: uscì in Italia il 12 agosto 1983, dopo essere stato presentato a Cannes
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È un film con pochissimi dialoghi “tradizionali”, sia in termini di scrittura sia di messa in scena: scarseggiano i primi piani classici (utilizzati soprattutto per i monologhi interiori) e gli altrettanto tipici campo-controcampo che appiattiscono le immagini facendoci concentrare sulle parole. Quello che si dicono Miriam, John e Sarah non è mai importante quanto il come se lo dicano: Miriam si sveglia a mezzanotte è un film di non detti e di sguardi, di impressioni e suggestioni. È già tutto spiegato e illustrato nella sequenza iniziale, con un’esibizione live dei Bauhaus che si mescola a flash del passato, del presente e forse anche del futuro, in un flusso unico che mantiene solo una vaga parvenza di linearità: una sorta di dichiarazione d’intenti, un modo per annunciare che quello che sta per cominciare non è il solito film di vampiri.
Una cosa in cui Tony Scott era bravissimo e per la quale non viene mai ricordato abbastanza era poi la sua capacità di dirigere i suoi attori senza intromettersi troppo nel loro personale processo. E se è vero che Susan Sarandon e Catherine Deneuve sono due stelle assolute e lo erano già quarant’anni fa, meno scontata è la prestazione di David Bowie, che in Miriam si sveglia a mezzanotte dà forse il suo meglio, anche più di quanto farà tre anni dopo in Labyrinth. Il trio è la spina dorsale del film, che a quel punto non ha neanche davvero bisogno di una trama: quello che conta è lasciare parlare le immagini, e ascoltarle mentre ci raccontano della vita, della morte e di tutto quello che sta in quei paraggi.
Un altro errore che la critica fece quarant’anni fa con Miriam si sveglia a mezzanotte fu quello di considerarlo tutta forma e niente sostanza – errore tutto sommato perdonabile a una prima visione, visto che stiamo parlando di un film che, come ripetuto più volte finora, punta tantissimo sul lato estetico e sulle impressioni che lascia a livello di pura immagine in movimento. In realtà la visione di Tony Scott (che prima di lavorare su Miriam andò anche a un passo dal girare un adattamento di Intervista col vampiro, a dimostrazione che l’argomento lo stuzzicava) della figura del vampiro, ispirata all’omonimo romanzo di Whitley Strieber, meriterebbe un approfondimento a parte, e il fatto che non emerga in maniera evidente dalla visione ma richieda un po’ di scavo concettuale è, se chiedete a noi, un merito del film, non un limite.
La vampira di Scott è immortale, certo, ed è capace di trasformare gli esseri umani in succhiasangue. Ma a differenza del classico trasferimento di potere che caratterizza gran parte della narrativa vampirica moderna e contemporanea, il vampirismo di Miriam è una maledizione vera, una malattia, non una porta verso l’immortalità. Solo Miriam è una vera vampira: le sue vittime, che diventano poi suoi amanti, hanno una data di scadenza, e la loro condizione assomiglia più a una dipendenza da una droga pesante che a un salto evolutivo. Un vampiro, in Miriam si sveglia a mezzanotte, non è per sempre, anche senza bisogno di aglio o paletti di frassino.
Questa semplice modifica cambia radicalmente la dinamica del film: la trasformazione in vampiro non è l’inizio di una nuova vita alla quale i personaggi devono abituarsi, ma il primo passo di un lento e inevitabile declino. Il rapporto tra Miriam e le sue vittime non è il classico maestro-allievo: la vampira è più che altro una spacciatrice – alla disperata ricerca di una soluzione al suo problema, certo, ma pur sempre una venditrice di morte. Le storie di vampiri hanno sempre parlato anche di bellezza e di decadenza, ma raramente hanno intrecciato in maniera così dolorosa le due cose.
Il vero peccato, quindi, è che proprio sul finale Miriam si sveglia a mezzanotte abbia subito le modifiche più dolorose e anche insensate: i destini di Miriam e Sarah, raccontati in un paio di sequenze frettolosamente aggiunte in corso di lavorazione, sembrano contraddire quanto detto fin lì dal film, e gli ultimi minuti hanno quell’aria posticcia da “roba infilata in fretta e furia per addolcire la pillola e regalare al pubblico un happy ending”. E anche per lasciare la porta aperta a eventuali sequel, che visto il flop del film non arrivarono mai. Arrivò invece una serie TV, di breve durata ma che coinvolse anche Tony Scott in persona per un paio di episodi, e ora pare che possa arrivare un remake, del quale si parla ormai da due anni. Per una volta fateci dubitare del risultato finale prima ancora di vederlo: di Tony Scott ce n’è uno solo, e purtroppo non è più tra noi.