Il mai nato, l’impresentabile horror di David Goyer
Il mai nato è un horror dimenticabile a voler essere generosi, dopo il quale David Goyer è tornato a dedicarsi alla scrittura
Dopo aver diretto Il mai nato, David S. Goyer ha deciso di dare addio (per sempre?) alla regia cinematografica e di tornare a dedicarsi esclusivamente a quello che gli viene bene, cioè la scrittura. Ovviamente non esistono dimostrazioni che queste due cose (Il mai nato e il fatto che Goyer non diriga un film per il cinema dal 2009) siano collegate, ma riguardando quello che è anche l’unico horror mai diretto dall’artista americano, il dubbio che sia stato il film con Odette Annable a fargli passare la voglia di dirigere sale; non per colpa della povera protagonista, che anzi è uno dei pochi dettagli che si salvano di Il mai nato, ma di una storia un po’ sciocca e già vista, di una regia insolitamente piatta e della tendenza di Goyer ad affidarsi ai jump scare più banali e prevedibili quando non riesce a trovare altri modi per spaventare. Perché allora siamo qui a parlarvene? Un po’ per mettervi in guardia, e un po’ per provare a salvarlo in qualche modo: in fondo al pezzo vi suggeriremo un drinking game per accompagnare la visione.
In altre parole è il tentativo di abbracciare un tipo di horror più commerciale e vendibile e meno censurato/censurabile, come dimostra peraltro il fatto che sulla locandina di questo film che in teoria parla di demoni del folklore ebraico e di feti malvagi campeggia in bella vista il fondoschiena in mutande di Odette Annable. La quale è contemporaneamente la cosa migliore del film (non è chiaro per quale miracolo, ma sembra davvero che ci creda tantissimo) e il motivo per cui Goyer appiattisce tutto: Il mai nato è prima di tutto un film sulla sua protagonista Casey, che è presente in scena per un buon 90% del tempo e che è costantemente al centro di ogni inquadratura, spesso catturata in primo o primissimo piano. Il film intero, ivi comprese le parti che dovrebbero spaventare, esiste in funzione di Odette Annable e del suo personaggio, e chiunque le stia intorno brilla di luce riflessa (quando brilla). È una scelta forte, condivisibile o meno scegliete voi, ma che ha l’indubbio svantaggio di ammazzare tutto il resto del film, e di strozzarlo e appiattirlo sugli occhi sgranati della protagonista.
È anche vero che “tutto il resto del film” non è dire poi tanto: girato in pieno inverno a Chicago, una scelta che colora ogni scena con quei toni bluastri tipici dei cadaveri, Il mai nato si ispira al mito del dybbuk, cioè l’anima di una persona morta che non ha trovato pace ma si aggira sulla Terra per fare cose piene di malvagità. Il dybbuk solitamente prende possesso di un ospite e lo usa per realizzare il suo scopo sulla Terra, che a sua volta legato al motivo per cui l’anima non è riuscita a trascendere ma è rimasta intrappolata qui giù. Quale sia il motivo per cui l’anima di “Jumby” perseguita la povera Casey ve lo lasciamo immaginare – diciamo che il titolo del film dà un indizio piuttosto grosso, e forse si poteva anche ripensare questo particolare.
Non che sarebbe cambiato molto: Il mai nato è esattamente il film che vi aspettate ora che sapete di cosa parla, che alterna presunte scene terrificanti (notturne) nelle quali la nostra eroina viene perseguitata da Jumby ad altre (diurne) nelle quali la nostra eroina cerca di capire cosa le stia succedendo, e viene in contatto con una serie di figure che la aiutano nel percorso di comprensione e infine di sconfitta dello spirito maligno. Tutto da manuale, con in più il cattivo gusto di infilarci riferimenti al nazismo, ad Auschwitz e a Mengele, per giustificare una serie di improbabili backstory infilate una dentro l’altra come fossero matrioske che dovrebbero dare profondità alla mitologia del film ma diventano solo un modo per guadagnare tempo e rimandare l’inevitabile – il momento dello scontro finale, la scena madre, il finalone, il climax. Volete sapere com’è quello di Il mai nato? Forse è meglio di no, non vorremmo che ci rimaneste male.
Vi avevamo però promesso un drinking game, e quindi eccovelo: Il mai nato è un film strapieno di facce note, di quelle che vi fanno mettere in pausa ed esclamare “ma lui/lei è X della serie/film Y!”. Per cui armatevi di vodka o di quello che preferite e preparatevi a bere ogni volta che compare, anche di sfuggita, un volto che avete già visto altrove, o perché nel 2009 era all’apice della carriera o perché nel 2009 si stava affacciando nel magico mondo del cinema.
Se poi non avete voglia di farlo, eccovi la lista:
Cam Gigandet, fresco di Twilight e persino di Pandorum
Meagan Good, che vedrete tra poco in Monster Hunter insieme a Milla Jovovich
Gary Oldman, probabilmente convinto con l’inganno da Goyer sul set del Cavaliere oscuro
James Remar, al tempo nella sua fase “papà di Dexter”
Jane Alexander, candidata quattro volte all’Oscar (i suoi ruoli più famosi sono in Tutti gli uomini del presidente e Kramer contro Kramer). Come sia finita sul set di questo film a fare il finto accento russo e a dire la “v” al posto della “u” resterà uno dei più grandi misteri della storia di Hollywood
Ethan Cutkosky, che oggi è uno dei protagonisti di Shameless
Il povero Idris Elba, che al tempo era ancora in cerca d’autore e al quale Goyer regala forse dieci minuti totali di screentime
Carla Gugino, a cui va ancora peggio
E per finire Mrs. Maisel in persona, Rachel Brosnahan, qui al suo debutto assoluto per il cinema in un ruolo che è eufemistico definire ingrato (deve fare da contraltare alle inquadrature frontali di Odette Annable quindi compare per cinque minuti e quasi sempre inquadrata di spalle)