Il cinema ha una nuova legge che lo regola. Luci (molte) e ombre (poche) di ciò che ci aspetta

Attesa da 50 anni, tutto quello che implica e regola la nuova legge sul cinema italiana. Tutt i problemi che si rischiano e i benefici che se ne trarranno

Critico e giornalista cinematografico


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C’era premura nell’approvare questo testo che aveva superato l’esame del senato solo un mese fa e che era stato presentato l’inverno scorso (lo ricorderete, fu l’occasione della foto dei premi Oscar Benigni, Tornatore, Bertolucci e Sorrentino con il ministro dei Beni Culturali Dario Franceschini e il primo ministro Matteo Renzi), tanto che ora è legge e sarà operativo, proprio come promesso, dal 2017.

Si tratta della nuova legge che regola il settore della produzione cinematografica, erano più di 20 anni che non si prendeva una decisione così radicale in materia e quasi 50 anni che si attendeva una regolamentazione completa e unitaria.

La legge regola sostanzialmente l’intervento dello stato nella produzione e distribuzione cinematografica, affronta quindi questioni inerenti i contributi diretti (la quantità di fondi elargiti, le modalità di tale sovvenzionamento) e quelli indiretti (sgravi fiscali), la censura, l’insegnamento nelle scuole, il ruolo degli esercenti e quello delle associazioni di categoria.
Più in generale un atto simile era atteso da mezzo secolo perché sancisce nella maniera più ufficiale il ruolo del cinema nell’economia culturale nazionale, posiziona quest’arte nel sistema-nazione investendola di oneri e onori.

Questo, lo si capisce bene, è motivo di giubilo per tutta l’industria poiché porta facilitazioni, riconosce professionalità e incidenza nella produzione di valore, nonchè accresce il potere politico degli operatori. Tutto buono.

Il cinema poi però è anche controcultura, può essere anche strumento autonomo, autarchico e libero, l’arma con cui formarsi al di fuori di schemi e imposizioni “ufficiali”, ma è un’altra storia questa, una che rimane un discorso a sé e con più forza da oggi sembra potersi trasferire altrove, su altri schermi. Tutto questo riguarda un ambito marginale della legge, quello del cinema delle scuole, decisione piccola con ripercussioni potenziali grandissime di cui per praticità si discute in coda.

CHI DECIDE DA OGGI IN POI

Molto la nuova legge stabilisce ma molto anche indica, in modo che poi altre leggi attuino. Chi dovrà definire nuovi indirizzi, elaborare politiche di settore e sostenere il cinema sarà il Consiglio Superiore per il Cinema e l’Audiovisivo. Fino ad oggi c’era la sezione Cinema della Consulta dello Spettacolo, dal 2017 invece sarà questo consiglio formato da 11 membri di “alta competenza ed esperienza nel settore” (definizione come sempre vaghissima che lascia spazio a qualunque nomina) e da rappresentanti dell’industria di settore.

Significa che nella stanza dei bottoni, obbligatoriamente, ci andranno anche produttori, distributori e autori, al pari di politici e persone d’esperienza. Che se non altro garantisce un livello minimo di competenza e una connessione diretta all’industria in chi da domani dovrà tirare le fila del cinema. Questo non impedisce nomine assurde, scalate politiche e giochi di potere (nulla lo impedisce) ma almeno sono interni a persone del cinema e non interni a partiti politici.

I FONDI

QUANTI SOLDI E DA DOVE VENGONO
Si parla di un totale minimo di 400 milioni di euro l’anno (60% più di quanto disponibile fino ad oggi) riservati all’industria del cinema nel Fondo per Lo Sviluppo degli Investimenti Nel Cinema e Nell’Audiovisivo. Praticamente il vecchio Fondo Unico per lo Spettacolo unito al Tax Credit.
Rispetto al passato questo nuovo fondo è alimentato anche dalle tasse di settore (quelle pagate da trasmissioni televisive, distribuzione, proiezione e, attenzione attenzione, internet provider). L’11% di questi introiti tornerà quindi indietro e si aggiungerà ogni anno ai 400 milioni di cui sopra. Significa che più l’industria funziona, cioè più genera denaro, e più ne riceve dallo stato.

A CHI VANNO I SOLDI E IN CHE PROPORZIONE
I finanziamenti non sono saranno più conferiti arbitrariamente alle produzioni che vengono ritenute meritevoli dalle commissioni ministeriali, come è stata regola fino ad oggi, ma verranno assegnati in automatico, cioè spettano di diritto a chi fa richiesta e presenta i requisiti adatti.
Scompare quindi il film ritenuto “d’interesse culturale” da parte del ministero, produzioni e distribuzioni potranno accedere ad un finanziamento proporzionale alla diffusione e al successo economico ma anche ai meriti artistici (cioè ai premi vinti o inviti a festival). Chi non può vantare uno storico, cioè chi è all’opera prima o seconda, non viene finanziato secondo questo criterio ma tramite il 18% del fondo (cioè un minimo di 72 milioni di euro), riservato ad esordienti, start-up di settore, giovani autori, piccole sale, festival ed eventi che promuovono il cinema di qualità. Le definizioni sono un po’ vaghe purtroppo e bisogna capire cosa si intenda.
Di certo a questa porzione del fondo hanno accesso i bracci dello stato cioè la Biennale di Venezia (festival), L’Istituto Luce (conservazione e distribuzione), il Centro Sperimentale di Cinematografia (formazione).

CRITICHE
Questa parte della legge è stata criticata e accusata di premiare la cassetta, di agevolare i film popolari più che le opere d’arte, in buona sostanza di dare più soldi a Checco Zalone e meno ai film più difficili che faticano in sala, poiché ai primi vanno contributi più grandi maggiore è il loro successo, ai secondi rimane la parte di fondo per meriti artistici.
La critica sembra abbastanza spuntata però, visto che i film popolari necessitano per loro natura di fondi maggiori e quelli più difficili invece di cifre minori. Soprattutto, partendo dal presupposto che il cinema più difficile, quello che si suppone sia più importante da qualsiasi punto di vista tranne quello economico (quindi più bisognoso di un aiuto statale per poter esistere) comunque ha un fondo per sé, non può che essere accolto con gioia il desiderio di fare del cinema italiano un’industria con un occhio attento al botteghino, che poi significa al gradimento del pubblico. Un passo in avanti rispetto alla situazione attuale, in cui moltissimi film sono prodotti con l’aiuto dello stato senza avere pubblico, senza avere accesso a festival di primo piano e senza essere comprati all’estero, sostanzialmente non amati da nessuno.

TAX CREDIT
Il tax credit è stato la decisione politica più importante almeno degli ultimi 20 anni presa riguardo il settore cinema. È un sistema di agevolazioni fiscali alla produzione e distribuzione che ha da subito incontrato favore e lode degli stessi interessati e ha attirato (e continua ad attirare) produzioni straniere in Italia (da 007 a Zoolander).
La nuova legge lo conferma e lo potenzia (gli incentivi raggiungono il 30% dell’investimento) dividendolo in 6 categorie:

  • per produzione e distribuzione e post-produzione

  • per chi distribuisce cinema italiano aumentandone la quota di mercato

  • per imprese italiane che lavorano per produzioni straniere su suolo italiano

  • per imprese che non sono di cinema che però investono nel cinema (tipo banche)

  • per gli esercenti

  • per produttori indipendenti che si distribuiscono da sé il proprio film (in questo caso da 30% aumenta fino al 40%)

PROGRAMMAZIONE DI CINEMA IN SALA E IN TV

La legge obbliga il governo a introdurre tramite nuovi decreti legislativi obblighi per la programmazione di opere italiane ed europee nelle sale e in tv.
È un invito più che una norma, un auspicio che potrebbe tranquillamente risolversi in un nulla di fatto ma che se non altro dà un indirizzo alle prossime decisioni in materia.

LA CENSURA

Il sistema di valutazione delle pellicole (cioè i vari divieti) ad oggi è in mano allo stato, in commissioni composte da professori, pedagoghi, critici, lavoratori dell’industria e preti. La nuova legge lo scarica ai produttori e distributori stessi, come avviene ad esempio in America, dove è la MPAA a decidere il rating dei film. Ad occhio e croce in Italia dovrà spettare all’ANICA tale compito. Lo stato interviene solo in caso di palesi abusi.
Questo significa che di fatto non esiste più la censura di stato e anche in caso di “divieto ai minori” nessuno potrà dire d’essere stato censurato dai poteri forti, poiché è l’associazione che riunisce produttori e distributori stessi (i più interessati dai divieti) a deciderlo.

ARCHIVIO

L’Italia ha anche un patrimonio cinematografico importantissimo. La nuova legge prevede la sua digitalizzazione, cioè mette in piedi fondi e modalità perché questo avvenga.

ESERCIZIO

Accanto ai fondi previsti per le sale esiste anche un fondo speciale che stanzia 120 milioni di euro lungo 5 anni, dedicati a chi investe nell’apertura di nuovi cinema o nella riapertura di quelli chiusi. Il fine è aumentare il numero di schermi, specie se dedicati al cinema italiano.
Parallelamente sarà anche più facile ottenere il riconoscimento di interesse culturale per le sale che lo meritano. In questa maniera sarà più semplice avere il vincolo di destinazione d’uso delle sale storiche, cioè il fatto che là dove c’erano cinema storici non possano sorgere banche o altri esercizi ma vengano unicamente attività di tipo culturale.

Questa norma però sembra non considerare i motivi per i quali i cinema chiudono. Se è vero che in molti casi si tratta di malagestione, in altrettanti si tratta di una scarsa domanda a fronte di affitti alti per locali immensi (i monosala di una volta nei centri cittadini). Non è chiaro come un fondo possa aumentare questo rapporto tra domanda scarsa e affitti alti.

FORMAZIONE

Una parte molto auspicata e richiesta a gran voce da diversi operatori di settore (anche diversi registi italiani si sono espressi in merito) è quella del cinema nelle scuole. L’insegnamento di cinema. La nuova legge dedica il 3% del Fondo al potenziamento delle competenze cinematografiche ed audiovisive degli studenti. Come questo debba accadere, com’è logico, sarà concordato con il Ministero dell’Istruzione.

È un ambito tangenziale della legge rispetto a quello più cocente dei fondi ma nondimeno uno esposto a diverse perplessità. Se è da vedere come sarà insegnato il cinema, cosa sarà insegnato (storia del cinema? tecnica del cinema?) e da chi (c’è il professore di cinema? Lo fa il professore di storia dell’arte? quello di italiano?), più in generale è un passaggio epocale non da poco quello di inserire il cinema nelle scuole. Uno che fa piacere soprattutto a chi il cinema lo fa, spesso demoralizzato dagli incassi e di certo preoccupato per il disamore del pubblico più giovane, ma anche convinto che in questa maniera le nuove generazioni impareranno ad amare i film italiani e lo stile italiano che già esiste, invece che chiedere un cambiamento premiando altri film con i loro soldi.

In tutto questo nessuno sembra però considerare che tutto ciò che viene insegnato a scuola (senza eccezioni, si badi bene) è in linea di massima odiato dalla grande maggioranza degli studenti, genericamente ripudiato e considerato un patrimonio culturale “dei padri” e non uno attuale. L’arte insegnata non è arte sentita propria. Il rock non sarebbe tale se insegnato a scuola, se cioè “impartito” e sappiamo bene che fine ha fatto la poesia, una volta forma d’espressione tipica dei giovani arrabbiati ora litanie imparate a memoria e poi dimenticate.

Il cinema è stato ed è una maniera in cui le persone autonomamente scoprono mondi altri, si ribellano alla cultura imposta dall’altro, esplorano i propri gusti lontano dall’approvazione di insegnanti e genitori, costruiscono la propria dimensione intellettuale. Far rientrare il cinema nell’alveo di ciò che le istituzioni raccomandano e impongono potrebbe equivalere alla morte della sua attualità culturale e della rilevanza presso un pubblico giovane, che più facilmente potrebbe riversarsi su forme d’arte salve dall’ingerenza scolastica come fumetti, musica e videogiochi, oppure (come accade per la letteratura) su quel cinema che non è insegnato, che prevedibilmente sarà quello di serie B o quello puramente commerciale, quello sperimentale e underground, più godereccio e meno immediatamente intellettuale. L’esatto opposto del desiderio di chi promuove il cinema nelle scuole.

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