Emerald City 1x10, "No Place Like Home" [finale di stagione]: la recensione
Ecco la nostra recensione del decimo e ultimo episodio della prima stagione di Emerald City, intitolato No Place Like Home
Ma andiamo con ordine: come promesso dal penultimo episodio, No Place Like Home ci presenta lo scontro finale tra Dorothy, il Mago e Glinda, nonché la resa dei conti tra Tip/Ozma e gli spettri del suo sanguinoso, tragico passato. Per una volta, entrambe le linee narrative si rivelano all'altezza delle aspettative maturate nel corso della stagione, serbando per lo spettatore non pochi momenti ricchi di pathos. In primis, merita il nostro plauso la scena del faccia a faccia tra Tip ed Eamonn, assassino dei suoi genitori - i regnanti di Oz - per ordine del Mago. Il ragazzo risparmia la vita del soldato, imponendogli però una punizione forse persino più crudele della morte: la sua assoluta cancellazione dalla memoria della moglie e dei figli.
La battaglia intrapresa da Dorothy conquista, a un passo dal finale, una coerenza e una verosimiglianza inedite, che fa rammaricare della mancanza di un lavoro più accurato sull'elaborazione delle motivazioni della protagonista. Tentando di mettere fine a una guerra di cui si sente, in parte, responsabile, la ragazza finisce per assistere alla morte di Sylvie - un momento di grande intensità, benché alleviato dalla conferma che solo una strega può uccidere una strega - e per rivoltarsi contro il Mago, cui va lo scettro nero per implacabilità e meschinità. La nostalgia di casa non è mai stato un motore particolarmente trainante per la Dorothy di Emerald City, ma la necessità di allontanare Frank da Oz sembra essere una ragione più che sufficiente per tentare di attivare il misterioso macchinario con cui scatenare un tornado che riporti lei e il Mago nel lontano Kansas. Come prevedibile, qualcosa va storto, e un colpo di scena arriva per Dorothy come per noi, benché lo spettatore abbia acquisito tale informazione con un certo anticipo rispetto alla ragazza: la madre della bella infermiera non è Karen Chapman, bensì Jane.
Al di là dei dubbi lasciati insoluti, la serie diretta da Tarsem Singh può dirsi riuscita almeno nella costruzione di un'estetica specifica, che rielabora senza stuprare l'universo di Baum e garantisce, nei molti - forse troppi - rivoli della propria trama, una ricchezza drammatica non sempre coerente, ma di certo suggestiva e variegata. Resta il rimpianto per un progetto che avrebbe potuto dire la sua anche in termini di impatto emotivo e che resta, invece, poco più di un mero divertissement impreziosito da raffinate suggestioni visive. Sapremo presto se ciò sarà sufficiente a garantire un rinnovo, o se i troppi passi falsi verranno puniti con una cancellazione che lascerebbe l'amaro in bocca.