Taboo 1x08 [finale di stagione]: la recensione

Taboo arriva al termine del suo primo viaggio, con un episodio denso e soddisfacente sotto tutti i punti di vista, che apre il campo alla nuova stagione

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Spoiler Alert
"Giustizia." Non ha titolo il finale di stagione di Taboo, ma se dovesse averlo sarebbe indubbiamente racchiuso nell'ultima parola pronunciata con sollievo dall'avvocato Chichester, mentre impugna il resoconto redatto da James Keziah Delaney e l'accusa mossa da Michael Godfrey alla Compagnia delle Indie Orientali nella subdola persona di Stuart Strange.

Si conclude sontuosamente la serie ideata da Tom Hardy e da suo padre Chips, in un tripudio di sangue e adrenalina che lascia sul campo meno vittime di quanto la cruenza abituale del racconto lasciasse presagire. Piangiamo, è vero, la caduta di Helga, appena redenta dal tradimento nei confronti di James e rincuorata dall'innocenza del suo ombroso alleato, confermata dalla testimonianza del piccolo Temple. Tremiamo per Cholmondeley, rimasto pesantemente ferito e in bilico tra la vita e la morte sulla nave che sta trasportando James e i suoi alleati verso Ponta Delgada. Tuttavia, rispetto all'ecatombe che pareva prospettarsi durante la sparatoria tra i nostri e le forze della Corona, il bilancio è roseo.

La giustizia, invocata da Chichester nell'episodio precedente e liquidata, da James, come fantasia propria delle menti più irrazionali, diviene l'insperato suggello di una missione pianificata da molto tempo e con minuzia certosina dal protagonista, una difesa della propria libertà e, in qualche modo, anche una giusta vendetta per tutti gli schiavi uccisi dai flutti in una prigione le cui sbarre portano la firma di Sir Stuart Strange, cui il destino riserva un congedo esplosivo da questo mondo (o, almeno, da questa stagione). I colpi di scena di questo finale di stagione - il presunto suicidio di Zilpha, la morte di Pettifer e Appleby, l'esplosione di Strange - vanno a inserirsi in un terreno coltivato con cura, germogliando in modo naturale e mai macchinoso. Come gli affluenti di un fiume, ogni personaggio di Taboo sembra aver convogliato il proprio flusso narrativo nella corrente della macrostoria principale, a creare un corso omogeneo e trascinante nella sua forza inarrestabile.

Mentre salpano a vele spiegate verso un futuro ignoto, all'ombra della bandiera americana a cancellare un passato di oppressione e ostracismo, la corte dei miracoli di James Keziah Delaney assume i contorni di un ritratto corale che mette in luce l'uomo in tutte le sue caleidoscopiche sfaccettature. Non c'è giudizio, né condanna per i molti diversi stivati nel ventre dall'imbarcazione. La varietà diviene ricchezza, e lancia i protagonisti verso un avvenire ricco d'incognite, pericoli e - non ne dubitiamo - rivalità, ma comunque nuovo. E nuova è stata Taboo, fresca nella sua declinazione accattivante del dramma in costume, coraggiosa nella sua grafica rappresentazione della violenza (l'esposizione del cadavere di Dumbarton riecheggia la raffinatezza visiva dei cadaveri di Hannibal) e determinata a evitare facili shock.

C'è la calma compassata del racconto filmico, nella serie scritta da Steven Knight, e il miglior cinema potrebbe invidiare la realizzazione impeccabile di questa perla oscura del piccolo schermo. Mentre restiamo in attesa del rinnovo, tiriamo le somme di un viaggio appassionante che ci ha fatti approdare, senza mai perdere ritmo, nel porto sicuro che si era prefissato.

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