Sherlock 4x01, "Le Sei Thatcher": la recensione
Sherlock torna sugli schermi con un giallo sfilacciato e con un colpo di scena prevedibile, conservando tuttavia una solidità psicologica che trascende i difetti
L'ossessione per il mistero si traduce, per il consulente investigativo, in una dipendenza che, oltre a passare per i consueti canali della droga, coinvolge anche il telefonino, che l'uomo non smette di usare nemmeno durante il battesimo di Rosamund, figlia di John Watson (Martin Freeman) e Mary Morstan (Amanda Abbington). Quali sono, dunque, le conseguenze di cui Moffat e Gatiss parlano? Potrebbero forse coinvolgere Mary che, a dispetto del minuzioso lavoro di epurazione del proprio passato e di costruzione di una vita normale con John, torna a essere assediata da fantasmi di una vita criminale che non potrà mai davvero lasciarsi alle spalle. A lei, più che a Sherlock, sembra alludere la favola del mercante e della Morte - alla base, molti l'avranno riconosciuta, della splendida ballata di Roberto Vecchioni - che esemplifica l'impossibilità di sfuggire all'ultimo incontro con la nera signora. Tutto quadrerebbe, se non fosse per un finale in cui Mary, in una scena che risulta fin troppo prevedibile a scapito dell'intensità drammatica, perde la vita per frapporsi alla pallottola fatale tra Sherlock e il proprio antico datore di lavoro, alias la mite vecchina Vivian Norbury (Marcia Warren). E qui risiede uno dei molti paradossi della puntata: dopo essere scampata alla furia vendicativa dell'ex collega Ajay (Sacha Dhawan), Mary trova la morte non a causa del proprio passato, ma a causa dell'arroganza di Sherlock, che provoca Vivian fino a farle premere il grilletto.
Non è questo, purtroppo, l'unico difetto di un episodio che trae spunto dal racconto I Sei Napoleoni per diventare, via via, sempre meno coinvolgente sul fronte investigativo, relegando la storia di Conan Doyle a un ruolo collaterale rispetto alle ambizioni di un dramma sentimentale fagocitante. Nessuna colpa hanno gli interpreti, impeccabili come d'abitudine, e illuminati per l'ultima volta dalla presenza di Amanda Abbington, che fa uscire di scena Mary confermando la propria vertiginosa - e tuttora sottovalutata - statura attoriale.
Alla fine di Le Sei Thatcher, la distanza tra John e Sherlock sa di vuoto insapore e ha un che di incolmabile, con buona pace di chi ha visto in Mary Morstan l'ostacolo a un amore fastidiosamente insinuato fin troppo a lungo dagli autori; questa prima puntata sembra, finalmente, voler rinunciare a parte del fan service più becero, anche se questo porterà la serie a doversi confrontare con la domanda più spinosa tra tutte: quanto c'è di malsano nell'amicizia tra due individui che sembrano ormai avere nella condivisione del brivido l'unico punto di contatto? I prossimi episodi - nonché, probabilmente, gli ultimi della serie - portano sulle proprie spalle un peso sentimentale inedito che, siamo fiduciosi, sapranno risolvere in modo compiuto e coerente rispetto alla psicologia di due protagonisti che, a sei anni e mezzo dall'esordio di Sherlock, si stagliano ancora incontrastati nell'immaginario del pubblico, immuni agli scossoni e ai dislivelli qualitativi delle storie che attraversano.