Una Serie di Sfortunati Eventi (prima stagione): la recensione

Una Serie di Sfortunati Eventi arriva su Netflix con una prima stagione ispirata e godibilissima: una bella trasposizione dei romanzi di Lemony Snicket

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Spoiler Alert
Caro lettore, sono desolato nel doverti informare che la recensione che stai per leggere è decisamente spiacevole. Contiene infatti lo sgradevole resoconto della prima stagione di Una Serie di Sfortunati Eventi, la serie di Netflix che narra le disavventure degli orfani Baudelaire. Scorrendo le righe di questo umile parere ti troveresti di fronte ad una storia che parla di infausti incendi, tremendi tutori e protagonisti perseguitati. È mio triste dovere commentare queste vicende, ma tu dovresti tornare alla Home page e, per il tuo bene, cercare la recensione di una serie più allegra.

Perché Lemony Snicket è così. Ingloba tutto ciò che a questo mondo si riferisce (anche le recensioni!) e lo trasforma in un gioco metanarrativo. Se il cuore simbolico e narrativo della vicenda rimane intatto, al tempo stesso i vari tipi di linguaggio vengono manipolati fino alle estreme conseguenze, costruendo un gioco a più livelli nel quale uno spettatore può piacevolmente perdersi. Quello stesso spettatore che un tempo è stato lettore delle avventure ideate da Daniel Handler nei suoi 13 fantastici libri, che nel 2004 ha assistito alla proiezione del film con Jim Carrey, e che infine ora su Netflix si gode la trasposizione di Una Serie di Sfortunati Eventi. Ancora una volta, il gioco riesce perfettamente.

La storia è ben nota. Violet, Klaus e Sunny Baudelaire hanno perso tutto nel momento in cui i loro genitori sono morti nell'incendio che ha distrutto la loro casa. Violet (Malina Weissman), la geniale inventrice, Klaus (Louis Haynes), l'avido lettore, e Sunny (Presley Smith), dai dentini affilatissimi, passano da quel momento di tutore in tutore, imparando a poco a poco di poter contare solo su loro stessi in un mondo dalle regole e dai personaggi assurdi. La loro nemesi è il malvagio Conte Olaf (Neil Patrick Harris), un attore fallito che vuole mettere le mani sul patrimonio degli orfani e, insieme ai suoi grotteschi aiutanti, compie i peggiori orrori e concepisce i piani più sgangherati per riuscirci.

Facciamo un passo indietro e torniamo al discorso dei diversi linguaggi. Perché qui accade qualcosa di particolare. Accade che l'idea di adattamento dalla pagina al grande schermo alla televisione passa attraverso un filtro ulteriore, che deve tener conto del pubblico al quale si sta rivolgendo. Se l'oggetto-libro fa parte esso stesso della finzione narrativa, con Lemony Snicket nelle vesti sia di autore che di personaggio interno, e se il film ci invita a spostarci nella sala accanto alla ricerca di un film su un Piccolo Elfo Felice, allora la serie non può fare altro che conformarsi a questa idea di narrazione.

Una Serie di Sfortunati Eventi

Abbiamo quindi una sigla che cambia di volta in volta, come il riassunto sul retro dei vari romanzi, anticipando le vicende sfortunate che vedremo e che ci invita a "guardare altrove". Abbiamo continui rimandi alla dimensione televisiva e allo stesso Netflix, che però funzionano meglio quando non sono troppo caricati e sfacciati. Abbiamo un linguaggio per riferimenti che si esprime, e non potrebbe fare altrimenti, anche attraverso la sola dimensione visiva, e che ad esempio può permettersi di lasciare sullo sfondo un'insegna su cui è scritto "Momento Morris", confidando sul fatto che comunque la noteremo.

E poi c'è l'idea, coraggiosa ma vincente, di rendere Lemony Snicket un personaggio in carne ed ossa, e non una semplice voce narrante o una sagoma in ombra. Patrick Warburton dona compostezza e distacco a un personaggio affascinante e, per il momento, sfuggente. Lemony Snicket e il suo ruolo sono la pietra angolare nei rapporti tra personaggi. È un narratore onniscente, perché ci parla da un futuro in cui gli eventi sono già compiuti, ma è anche un personaggio interno alla serie, di cui ogni tanto sentiremo parlare per bocca dei personaggi. Non è senza dubbio un personaggio risolto, anzi soffre profondamente per la perdita della sua Beatrice. Ci parla dal "futuro", eppure vive in un costante presente che gli permette di apparire in scena insieme agli altri protagonisti. E non è qui per darci delle risposte, anzi egli stesso è fonte di misteri e domande.

Ecco, le domande. Sono tante, sono sbagliate, sono senza risposta. Sono bloccate da un colpo di tosse, da un anello di fumo, da un uomo malvagio nell'ombra. Eppure questa versione di A Series of Unfortunate Events punta molto sulla mitologia, sul racconto dietro il racconto, sui legami precedenti tra i personaggi, sulle organizzazioni segrete che popolano il mondo. In questo senso si può inquadrare anche l'inserimento di un personaggio inedito come quello di Jacquelyn (Sara Canning). La serie lavora su più livelli (ne contiamo tre, legati tra di loro, quello dei misteri, della storia e dei simboli), anche visivamente, ed è così che spesso ciò che si trova sullo sfondo sarà importante tanto quanto ciò che appare in primo piano. Ecco quindi serpenti alle pareti o sui vasi, occhi sulla carta da parati e alle finestre, la sigla VFD (da noi solo VF) che fa capolino in ogni momento, portando con sé il suo carico di domande.

Questo per quanto riguarda i misteri, ma Una Serie di Sfortunati Eventi rimane una serie estremamente godibile anche al livello più semplice e immediato. Si ride parecchio, ma non è mai una risata stupida, anzi parte del divertimento consiste nel modo in cui dialoghi e situazioni giocano su più livelli. La scrittura è agile e ricca di spunti, il lavoro sulle scenografie e gli ambienti è brillante (anche un edificio può avere personalità), il ritmo è sempre alto e si adatta al formato scelto. Ogni romanzo è stato diviso in due episodi, e se nel film erano i primi tre ad essere ben condensati, qui non abbiamo mai la sensazione di una storia allungata per creare minutaggio.

Una Serie di Sfortunati Eventi

Funziona molto bene il cast. Harris dà la sensazione di divertirsi un mondo nell'interpretare Olaf, e in questo caso abbiamo anche la possibilità di concentrarci per più tempo sui suoi compagni di malefatte, tutti molto caricati come aspetto. Abbiamo notato fin da subito la curiosa somiglianza tra Malina Weissman e Emily Browning, ma il confronto passa subito in secondo piano e questi tre orfani riescono a conquistare. Bello lo spazio riservato ad alcuni personaggi secondari, come il giudice Strauss di Joan Cusack o lo stesso signor Poe di K. Todd Freeman. Curiosità: ritorna nel cast, in un ruolo diverso, Catherine O'Hara, che era anche nel film del 2004.

Infine, i simboli. Con i suoi riferimenti letterari, giochi di parole, personaggi sopra le righe, situazioni grottesche, Una Serie di Sfortunati Eventi è anche e soprattutto una vicenda simbolica. A partire da una situazione di lutto e di perdita (l'immagine del salire una scala al buio pensando di avere un altro gradino è ancora ispiratissima), parla della necessità di doversi rimboccare le maniche e andare avanti. In fondo i misteri sono solo puntualizzazioni di una vicenda chiarissima fin dal principio: nel mondo esistono delle persone ignoranti e arroganti che appiccano incendi, non solo in senso letterale, e ci sono persone che cercano invece di spegnere quei fuochi grazie alle armi della conoscenza e della logica. La voglia di sapere e le librerie salveranno il mondo dagli incendi (Fahrenheit 451? Sì, certo, anche quello, ma i riferimenti sarebbero troppi per riportarli tutti).

Probabilmente va toccata anche la grande sorpresa del primo episodio, ossia la rivelazione che i genitori dei Baudelaire in questa versione sarebbero ancora vivi, e avrebbero i volti di Will Arnett e Cobie Smulders. A questo punto avremmo sottolineato come una scelta pure coraggiosa come questa rischiasse di sottrarre un elemento drammatico e fondamentale dalla serie. I Baudelaire devono essere orfani, se non lo sono perdono una parte della loro identità nella storia. E invece, con un colpo di scena ispiratissimo e geniale, il settimo episodio ribalta aspettative e pregiudizi, portandoci da tutt'altra parte e costruendo un legame molto forte con la prossima stagione, di cui abbiamo un assaggio nell'ultima sequenza.

Una prima stagione ottima, ispirata, per una storia non semplice da trasporre e interpretare. Eppure, a visione ultimata, ogni cambiamento e ogni scelta assumono un loro senso, e ci lasciano con la sensazione che non si potesse fare altrimenti per raccontare una, anzi, La Serie di Sfortunati Eventi.

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