Westworld 1x09 "The Well-Tempered Clavier": la recensione

Ancora un episodio carico di rivelazioni per Westworld, che ormai è a un passo dal finale di stagione

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Spoiler Alert
Esiste un piacevole senso di affermazione di sé nelle pieghe della storie che amiamo, dei personaggi che amiamo. Che possono, per un momento e dopo lunga ed estenuante fatica, vivere al di fuori delle catene della scrittura che li ha portati in un certo luogo, in un certo istante. Sono storie che ci danno esattamente ciò che volevamo nel momento in cui ne avevamo bisogno, non quando l'avevamo capito, ma solo dopo che tutto ciò che avevamo letto e vissuto fino a quel momento l'aveva giustificato. Westworld, che con le storie lavora a più livelli, non si ritira dal compito. Non l'ha mai fatto, in verità, anche quando sembrava che il groviglio della storia (delle storie) fosse talmente impalbabile da essere inesistente.

The Well-Tempered Clavier è allora affermazione di un sé collettivo, che richiama all'ordine tutti i personaggi dispersi in ogni tempo e in ogni luogo. Si tratta della pietra angolare assoluta, che tanto abbiamo imparato a conoscere nelle sue singole parti quando si trattava di dare un background e un significato alle storie dei protagonisti. Westworld, che con la metanarrazione è andato e continua ad andare a braccetto, cerca di giustificare se stesso, la propria mitologia, gli eventi correnti e gli eventi passati. Che ciò che vediamo sia illusorio oppure no, l'importante è trovare un senso, un motivo, una giustificazione all'agire. Il labirinto diventa uno stato mentale, con tante entrate sparse nello spaziotempo, e forse senza uscita.

Un giovane di nome William si è perso nel labirinto. Ha perso se stesso, ha trovato se stesso. O almeno una parte di sé che non conosceva, protremmo definirla una stringa di codice non ancora attivata, ma che ha risposto ad alcuni impulsi ambientali e comportamentali. L'elemento di caos imprevedibile nel caos programmato da Arnold tanti e tanti anni prima (ma quanti esattamente?). Catturato da Logan, sempre più a suo agio invece, William cede di fronte alle ultime violenze consumate ai danni di Dolores. Abbraccia finalmente la versione di sé che Logan cercava di tirar fuori (rivedremo una certa foto), ma con risultati che il suo compagno non poteva certo aspettarsi. Il massacro dei figuranti meccanici apre le porte ad un nuovo personaggio, che episodio dopo episodio ha maturato la propria trasformazione. Si allontana il cappello bianco che aveva scelto tanto tempo prima, si avvicina idealmente un vestiario, e un animo, più scuro.

Una donna di nome Dolores si è persa nel labirinto. Sicuramente più di una volta, forse ancora di più. Per altre vie, per altri percorsi, anche lei si prepara a tornare all'inizio della sua storia, a rivivere in piena coscienza un viaggio compiuto chissà quante altre volte e forse stavolta sbloccato in un fienile, fuoricampo. C'è questa idea della ricorsività e del loop, alla quale siamo abituati fin dalla prima puntata, in cui viene inserito un elemento di rottura che, anche questo, si ripete più e più volte, come se l'ordine tendesse a inglobare ogni elemento di cambiamento e caos (pensate all'utilizzo dell'Eletto nella saga di Matrix). Si rafforza intanto, anche visivamente, l'idea di un dio-creatore, con una scena in chiesa abbastanza emblematica, pure troppo.

Un uomo di nome Bernard si è perso nel labirinto. Anche in questo caso, come avevamo rilevato due settimane fa, non è tanto il twist in sé a colpire e sconvolgere, quanto l'esecuzione del momento. Si lavora su due piani separati nel tempo e nello spazio, quindi quattro. La storia di Dolores, che è anche la storia di Arnold e dei primi esperimenti sui robot e sulle stringhe di coscienza nascoste, diventa dopo molto tempo la storia di Bernard. La fotografia mostrata tempo fa nascondeva effettivamente una sagoma a destra, bloccata dalla mente del robot che, in un'altra occasione, non era riuscito a vedere una certa porta. Ci chiediamo in effetti come nessuno abbia mai sollevato nessuna osservazione sull'aspetto identico tra Bernard e Arnold (addirittura l'anagramma dei nomi!), come se questo fosse segreto, ma passiamo oltre. Un grande lavoro sulla generale messa in scena del momento lo eleva oltre ciò che racconta, e l'emozione è forte mentre scopriamo un altro inganno e la sinistra ironia di Ford che non ha rinunciato al suo collaboratore.

Un uomo di nome (...) si è perso nel labirinto. Quanto tempo fa di preciso, non ci è dato sapere. Diciamo trent'anni, per comodità. Più ci siamo mossi in avanti nella storia, più abbiamo scoperto un lato più umano e nascosto di questa figura in nero per molti decenni ossessionata dalle proprie esperienze nel parco. Westworld gioca a condividere identità ed esperienze diverse, come nel caso di "Bernarnold", e in altri casi lavora a livello più inconscio, separando dove invece forse potrebbe unire. Torniamo sulla storyline di Wyatt, su massacri incondizionati e su responsabilità difficili da accertare. L'uomo in nero è in contatto con il consiglio, anzi è una parte importante di questo, e nel momento in cui il suo voto è necessario per buttare fuori Ford, ecco che qualcuno dall'esterno lo richiamerà.

Westworld è arrivato alla sua destinazione. Che, se queste storie raccontate fino ad ora ci hanno insegnato qualcosa, non è detto che corrisponda alla fine. Forse a un nuovo inizio, forse a riconciliazioni e nuovi ricordi sbloccati, anelli mancanti che andranno a completare il quadro frammentario. In ogni caso, non sarà un passaggio indolore. Ricordiamo che "these violent delights have violent ends".

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