Bull 1x01, "The Necklace": la recensione
La nostra recensione del primo episodio di Bull, intitolato The Necklace
Jason Bull è a capo di un'azienda che si mette al servizio di clienti e avvocati per studiare il comportamento delle giurie attraverso un'attenta analisi della comunicazione non verbale con un profuso uso della tecnologia, allo scopo di predire la risoluzione di un processo e pilotarne le conclusioni. La premessa della serie è, oggettivamente, interessante: il noto assioma americano che si basa sulla presunzione di innocenza è un'emerita sciocchezza, e un processo comincia molto prima che giuria, avvocati e giudici si riuniscano in un'aula di tribunale. Come nel caso del pilot, quando l'accusato è - per così dire - di alto profilo: un giovane arrogante figlio di papà che passa la vita a mostrare al mondo la sua privilegiata vita sui social network. È facile che i membri della giuria che verranno selezionati si siano già formati un'opinione sul soggetto in questione. In sostanza, il messaggio che la serie vuole far passare è che ognuno di noi si forma delle opinioni, o pregiudizi, in base ai quali finirà per giungere a una conclusione, il che - oltre a essere vero - è anche un concetto molto sensato, in tutta la sua semplicità.
Il noto assioma americano che si basa sulla presunzione di innocenza è un'emerita sciocchezzaQuindi, regola #1, non solo "il cliente è il nemico", ma anche: "tutti possono essere letti come libri aperti," grazie alla famigerata comunicazione non verbale che, secondo il tre volte dottor Bull, costituirebbe il 93% della comunicazione umana. Vi risparmieremo una noiosa e troppo lunga spiegazione in merito, ma va precisato che la teoria è la conclusione di uno studio compiuto nel 1972 da Albert Mehrabian che è considerato ormai da tempo superato e, in sostanza, falso, poiché - per ammissione stessa di Mehrabian - lo studio non venne mai sperimentato nella "vita vera", in cui i soggetti possono essere sottoposti a diverse condizioni che ne influenzano il comportamento. Non è la prima volta che il concetto di "non verbale" viene usato in una serie TV: già Lie to Me, show della Fox del 2009, con protagonista un magnifico Tim Roth, aveva provato ad usare questo espediente, ma - alla lunga - la teoria secondo cui un esperto in possesso di una misteriosa e magica chiave di lettura possa comprendere perfettamente le intenzioni di una persona dal mondo in cui gesticola, parla o dal linguaggio del suo corpo, si è dimostrata fallimentare. La domanda che sorge spontanea è quindi: perché Bull dovrebbe riuscire dove Lie to Me ha fallito?
Per quasi tutta la durata del pilot, inoltre, sembra che per Bull non conti tanto il concetto di innocenza o colpevolezza, Jason è pagato per fare il suo lavoro - e vincere - a prescindere dalla verità. Se non che, alla fine della puntata, il geniale dottore capisce anche chi sia il vero colpevole e lo consegna alla giustizia. Anche questa scelta risulta deludente o comunque non abbastanza coraggiosa. La sensazione finale è che sarebbe stato molto più interessante avere a che fare con un "cattivo", piuttosto che una sorta di supereroe che usa i propri poteri a fin di bene. Un personaggio che basa la sua carriera sulla capacità di manipolare gli eventi attraverso lo studio del comportamento umano, non può risultare anche credibile come onesto essere umano che ha a cuore la giustizia nell'accezione più pura del termine. Meglio un bastardo ben riuscito, che un buono a metà, ma - anche in questo senso - il dottor Jason Bull sembra non aver ben chiaro quale sia il suo posto.
La prima stagione di Bull è in onda ogni martedì in America sulla CBS.